«Smettetela. - chiese Amelia - Non voglio essere tirata su di morale. Non voglio imparare l'inglese. Non voglio stare bene e tornare a lavoro... Lo volete capire? Non è per la malattia, non è per la morte... è per la vita. La mia vita.»
Giulia e Nanda rimasero in silenzio, cercando di mantenere delle espressioni neutre. Clara entrò in quel momento in salotto, portando delle tazze di tè verde fumante e come se non avesse sentito le urla della sorella, cominciò a distribuirle fra le amiche. Poi passò una mano sulla testa di Erica che guardava la zia, stranita, e si andò a sedere vicino a lei.
«Erica... perché non vai a prendere lo zucchero?», chiese Amelia, cercando di controllare la voce.
Clara inarcò un sopracciglio. «Erica stai dove sei. Fa' sentire anche a tua nipote i tuoi deliri da malata, forza. Non credo che la scioccheranno più dei nostri litigi. Magari impara anche qualcosa dai vostri discorsi profondi ed eruditi.»
La voce di Clara era dolce. Stranamente, Amelia non aveva mai fatto caso a quanto fossero dolci le cattiverie di sua sorella, a volte.
«Quando questa storia sarà finita e mi guarderò indietro, perché dovrò guardarmi indietro a quel punto, lo so... non mi sarà di alcun conforto pensare ad una vacanza in Giamaica... Non volevo una carriera. - continuò allora sommessamente - Né viaggi premio, né qualifiche, né strette di mano. Non volevo essere ammirata perché sapevo condurre una riunione meglio di un uomo. Ho sempre saputo di poterlo fare, ma non l'ho mai voluto. Il primo giorno che sono entrata in quell'ufficio, ho pensato: la mia vita sarà così per sempre? Mi rimarrà solo questo? E mi sono risposta di no. Che un giorno o l'altro sarebbe cambiato qualcosa, che in quel momento non c'era altro e dovevo farmi bastare il lavoro. Che l'affetto, che la famiglia sarebbero arrivati in qualche momento. E invece non sono arrivati. Ho fatto finta che andasse tutto bene, guardavo mia sorella e mi dicevo che ero fortunata a non essere come lei, che io ero una donna di successo, che io non potevo commettere errori perché mi guardavo dentro e leggevo i libri di psicoanalisi e facevo la femminista, quando invece...»
Amelia guardò sua sorella dritto negli occhi e scosse la testa, come a negare quello che lei stessa stava per dire.
«Quando invece, forse, era proprio lei che volevo essere. Volevo pure i litigi... - ridacchiò, fra le lacrime - Anzi no, volevo soprattutto i litigi e forse è solo per questo che stavo ancora con Luciano. Perché almeno avevo qualcuno con cui litigare, qualcuno con cui provare che ero ancora viva. Voi lo sapete che vuol dire tornare a casa ed essere soli?»
Amelia si morse le labbra. Nessuna delle donne che stava davanti a lei lo sapeva. Ognuna di loro aveva qualcuno da cui tornare ogni sera, qualcuno con cui parlare, con cui litigare magari, da baciare quando le cose andavano bene, da cui farsi abbracciare quando tutto andava storto.
«Volevo un mutuo ventennale. Le bollette a fine mese da pagarle all'ultimo momento, perché forse i soldi non bastavano. Volevo farmi venire il mal di testa a furia di capire come farci rientrare pure il terzo figlio nelle spese di casa. Volevo le ginocchia sbucciate e i fiori per San Valentino o anche niente, anche solo la possibilità di arrabbiarmi perché non c'era nessun regalo. Volevo qualcuno con me, adesso. E non esiste una consolazione a questo. Anche se davvero il matrimonio di Clara fosse il peggiore possibile a questo mondo, nessun cattivo esempio può riempire il vuoto...»