La strada nella Notte

 

 A ciascuna Persona senza nome

incontrata nei miei viaggi, senza la quale

non sarebbe stato possibile scrivere

una sola parola di questo libro.

 

I

Il finestrino è aperto, con il freddo di fuori che mi accarezza la tempia, mentre entra sibilando tutto intorno a me. L'automobile corre dentro la notte, le ruote divorano avidamente il rettilineo, confondendosi con il buio e lasciandosi dietro nient'altro che nudo asfalto. La radio accesa gracchia nel vano tentativo di sintonizzarsi su una qualsiasi stazione, ma, ovunque si fermi, non sembra poi più di tanto convinta della scelta, e così riparte. La mia mano volteggia fuori dal vetro in un volo controllato mentre una fresca umidità si impadronisce della pelle.

Solo il vuoto, spaventoso e vorace, che ingoia i miei pensieri, le emozioni, il nastro interminabile della autostrada, il grido da bestia ferita, represso in gola, che mi comprime il petto.

Il piede sull'acceleratore è rigido, immobile e pesante a spingere giù e così corro, lacerando la notte fredda, il passato ed il futuro. Due luci alle spalle, sempre più grandi e vicine, ed il lampeggiare dell'indicatore. Una macchina lucida mi sorpassa, mi tiene per un po' compagnia, si rimpicciolisce a vista d'occhio fino a diventare due punti rossi lontani, per poi scomparire sulla linea dell'orizzonte.

Sull'altra carreggiata le luci mi vengono incontro veloci dal fondo, si ingrandiscono. Le seguo con lo sguardo finchè posso, per aggrapparmi alla loro presenza su quella stessa strada, per cacciare via o illudermi di poter cacciare via il senso di vuoto, di paura. Mi domando chi ci possa essere dentro quelle auto, quanti di loro siano impazienti di arrivare da qualche parte, a casa, il giorno dopo. Chissà quanti di loro sono come me, uomini dallo sguardo stanco, lanciato in una corsa folle ed inutile.

Uomini in fuga da se stessi.

Allungo fuori la mano spezzando il mormorio ipnotico della radio. Al di là del parabrezza, il teschio di ghiaccio della luna aggrappato al cielo logoro. La notte fa paura quando sorride beffarda, quando scava dentro la vita già trascorsa e fa rinascere cose credute sepolte, perdute, smovendo sentimenti ed emozioni da sotto la sabbia. Finendo per alzare magari solamente un gran polverone.

Un ricordo emerge di colpo dal vuoto dell'anima e mi affiora silenzioso il sorriso di alberi fioriti ed il volo antico di cento farfalle e mille colori, colori proibiti.

Gli occhi di un bambino.

Mi tornano in mente tutti quei momenti passati giocando, senza il doversi chiedere il perché di ciò che si faceva. Quel costruire improbabili case in miniatura utilizzando solamente tegole e pietre fragili. Quel rincorrersi e nascondersi. Quel fingere di essere padrone incontrastato di un mondo fantastico fatto a propria misura, dove il nome di un animale era da solo in grado di dare vita ad un personaggio che ti avrebbe poi fatto compagnia per tutto il tempo di cui disponevi e avevi voglia, per sparire quando decidevi, perché così girava il gioco. Ricordo il bene innato che riuscivo a volere alle persone, anche a chi rideva di me per il mio modo buffo di essere.

Adesso gli occhi del bambino hanno fatto posto ad una nuova visione del mondo, attraverso più comode lenti, filtri di quello che mi interessa da quello di cui, invece, non voglio essere più neppure sfiorato.

Cicatrici sempre più profonde hanno solcato l'animo. Amicizie. Amori. Nuove responsabilità. Mi chiedo quanta pena sia valsa il mio crescere in fretta, affrontando, di improvviso uomo, il mondo, interrompendo e violentando la mia infanzia. Penso e ripenso, ed i bei ricordi vanno perdendosi come rose tra l'erbaccia.

Quanto sono cambiato! Chiudo gli occhi.

Pigio sull'acceleratore, sono l'unica forma di vita per la strada. Tutto il resto è invisibile. Questo mio viaggio notturno pare sia senza meta, e l'alba è ancora lontana.

La sagoma nera di un autotreno si stacca dall'orizzonte finchè mi si erge davanti, enorme, possente, un mostro di età passate. Oltre l'autotreno, un'ombra più nera e profonda, la bocca di una galleria. Incontro i miei occhi, riflessi sul parabrezza, brillare come quelli di un gatto, senza sguardo. La galleria aspetta immobile. Sorpasso il pesante mezzo che mi precede ed il rombo del motore riempie la galleria. Quando ne esco fuori ripiombo nel vuoto della notte.

Rivedo le maschere che mi sono lasciato dietro, i mille me stesso che sono stato capace di inventare, che gli altri sono stati capaci di creare per sé ognuno secondo il suo modo di essere. Ripenso alla rabbia orgogliosa con cui si è spogliato dei propri sogni e sorrido ironicamente per la condizione ultima, senza menzogne, senza verità, senza colpa e senza innocenza. Solo disperazione della mia indifferenza. E corro, corro sul manto nero dell'autostrada, verso un'altra galleria, corro contro vento.

Si è alzata una fitta nebbia che si confonde con il vapore del fiato, entra fin dentro la macchina come a voler cercar rifugio. Non si riesce a vedere al di là del proprio braccio, ma intanto continuo ad andare a ritmo sostenuto. In lontananza si possono intravedere alcune fioche luci di un qualche paese sconosciuto. Sono sempre di meno, ormai l'ora tarda sta convincendo anche il più recalcitrante tra gli uomini ad abbandonarsi ad un sonno ristoratore.

Gli odori dei campi si fanno più pungenti adesso, vengono rafforzati dal profumo dell'acqua che questo pomeriggio ha abbondantemente innaffiato il terreno.

Immagino il canto dei grilli e delle cicale, il muoversi di piccoli animali lì in mezzo al grano secco indurito dal sole. Mi convinco che forse lo sento davvero, pur consapevole che si tratti solamente dell'aria che soffia forzatamente intorno alle mie orecchie, mentre la radio continua a mormorare qualcosa di incomprensibile e di incompleto.

Le figure che mi circondano si fanno sempre più confuse nei lineamenti e tendono a fondersi con le linee scure del cielo orfano del giorno. La luce va scemando, le stelle fuggono, e mi pare che non siano più sufficienti neanche gli abbaglianti ad illuminare la scena.

Solitamente non fumo, ma sono convinto che se avessi questo vizio sceglierei proprio questo momento di malinconia e di inquietudine di animo per accendermi quella fatidica sigaretta che per anni mi sono vietato.

Il guardrail mi si para innanzi all'improvviso ed è solo un attimo. Un secondo che si dilata nel tempo oltre ogni limite. Faccio la mia scelta. Spingo giù l'acceleratore. Fuga da se stessi. Una manciata di secondi. La curva.

Qualcosa esplode intorno a me nel momento in cui comprendo di non aver scelto nulla, quando mi assale il dubbio che la mia mossa sia stata già predestinata da tempo. Esplode il grido represso da bestia ferita, esplode con il sapore acre del sangue mentre il parabrezza va in frantumi e le lamiere si ripiegano su se stesse riempiendo il vuoto della galleria di mille echi e dell'ultimo volo di cento farfalle.

Il dolore lo sento nascere e morire al suo primo vagito. Il blu della notte regala improvvisi spazi a lampi di fuoco, per riprenderseli inghiottendoli dopo il tempo concesso loro. Il fragore diventa suono bianco, poi il silenzio. Mi sento leggero.

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