La strada nella Notte

IV

Dentro il tunnel, la radio smette improvvisamente di gracchiare, lasciando un suono stridulo ed indefinito che, tuttavia, non mi infastidisce a tal punto da doverla spegnere.

Incrocio una seconda automobile. Viene dalla carreggiata opposta, a velocità costante, i fari alti e cosparsi di insetti, vittime della notte. Si avvicina fino a raggiungere la posizione della mia macchina.

Ho male, si solleva un turbinio di polvere misto a brina.

Come il disegno del fumo di due sigari che danza, mischiandosi e dividendosi e dando vita alle figure dell'immaginazione, allo stesso modo mi sento trasportato verso il conducente dell'altra macchina, una donna sulla trentina di anni. E' in dolce attesa di un figlio senza padre, lei che fugge gli uomini.

Le sono davanti. Vedo i suoi occhi, di un blu profondo e malinconico; le sue labbra, serrate in un sorriso stretto; i suoi capelli, corti e scuri sulla fronte. Muove di lato la testa come per scansarmi, ma è tardi.

Ci ritroviamo seduti l'uno accanto all'altra su degli sgabelli alti, io con i gomiti poggiati sul bancone di un improbabile bar, a circondare con le mani un bicchiere di birra scura, lei con le mani incrociate in una sorta di preghiera, con lo sguardo fisso e penetrante su di me.

Le luci fioche del saloon ammorbidiscono il profilo tagliente del suo viso, dando una sfumatura onirica al nostro sommesso incontro.

E' da molto che non ci vediamo.

Per la verità non la ricordo, anche se il suo odore mi appare stranamente familiare e mi mette a mio agio.

Mi sorride rassicurante. Il suo parlare adagio assomiglia ad una nenia, che canta di viaggi in terre lontane e di persone che hanno lasciato un segno pur restando senza nome. Canta di prati in fiore e dei campi di grano verde che si imbruniscono in autunno e si nascondono nella terra al cadere della prima neve. Del sussulto al primo segno di vita all'interno del grembo, delle lacrime non asciugate perché già da tempo la sua vita aveva preso una strada che la avrebbe portata lontana dagli affetti. Un po' per paura, un po' per ribellione, un po' per non sentirsi un uccello in gabbia.

Sai, la gabbia però non sarebbe stata così male. Dipende come la si vive. Forse, se avessi avuto meno orgoglio, in questo momento, al posto delle mie mani sulla pancia sarebbe appoggiato l'orecchio dell'amante, che gioisce al primo calcio e che dopo avermi baciata, offre a tutti un brindisi con il vino migliore.

O forse non sarebbe stato così. Non è dato a noi di sapere.

Nel frattempo, ordiniamo altro da bere, scoprendo simili modi di pensare e scambiandoci idee ed opinioni sul significato del nostro amore per i viaggi.

Conoscere paesi e genti e culture, certamente. Ma soprattutto cercare una risposta al senso della vita. Vedere se altre persone vivono la loro vita diversamente da come facciamo noi, capire se la nostra direzione possa essere quella giusta. Esistono tanti modi di vivere, ma quello migliore per ciascuno di noi è uno soltanto, ed il suo modello non è applicabile a quello di nessun altro.

Passa il tempo, gli occhi della donna mi parlano in un linguaggio diverso e più profondo rispetto alla sua voce, e questo doppio dialogo non mi è nuovo. I nostri discorsi ormai spaziano liberamente di intensità e di argomenti. E' un dolce discorrere.

Quando il discorso cade sull'amicizia, il suo sguardo si fa d'un tratto serio.

Non ha legami, non ne ha mai avuti. Qualche tentativo di istaurare qualcosa di stabile in effetti l'aveva fatto, ma ne era rimasta ben presto ferita e, così, aveva preferito una preziosa solitudine ad una inutile compagnia. Questa suo ripudiare il legame con le altre persone si era ripercosso sulla sua vita affettiva in toto, così che le andava stretta l'idea di un legame a lungo termine con chiunque, amico o amante che fosse.

Mentre mi racconta delle sue delusioni, dentro di me si proiettano le mie, in un'analisi introspettiva dolorosa. Riaffiorano amici fino a quando conveniva loro di essere tali, profittatori e comunque mai troppo sinceri. Oppure persone che si idealizza, convogliando le proprie energie verso il loro bene per trovarsi, alla fine, con meno di un pugno di mosche in mano. Ci si chiede il reale significato dell'essere amico e di averne.

La donna che ho di fronte mi suggerisce il suo pensiero, che per certi versi risuona simile al mio.

La necessità di avere amici è una risposta al nostro sentirci soli, al nostro senso di nichilismo rispetto al mondo che crediamo di non essere in grado di affrontare da soli. Ma allo stesso tempo, rispecchia la voglia di dare un segno di sé ad un'altra persona, in modo tale che questa ne dia uno a noi, rompendo un silenzio interiore che trema solamente davanti all'idea di una morte che sopraggiunga prima che si sia dato un significato alla vita.

Magari è così. Forse la necessità di avere un amico è quella di vedere che qualcuno riconosca il fatto chge tu stesso esista, dandoti prova reale di vita.

Mi inquietano le parole della donna, e mi affascinano. Anche in lei, come nell'uomo incontrato prima, le parole non velano misteri. Mi parla come se ogni suono uscito dalla sua bocca dovesse essere custodito per sempre nel mio cuore.

Mi sento onorato da questa inaspettata fiducia, e le sue emozioni si raccolgono negli scaffali più alti del mio animo, accanto a quelle regalatemi dall'uomo, accanto a quelle poche raccolte nella mia vita, accanto alle molte ormai mie proprie.

Come ogni cosa bella, anche l'incontro con la donna dagli occhi blu è destinato ad avere una fine.

Quando decide di andare, lei si alza lentamente. Ha lineamenti estremamente familiari, adesso. I suoi capelli le cadono giù dalla fronte nascondendo rughe che prima non avevo notato ed avrei giurato che non ci fossero mai state. Non stacca gli occhi dai miei, si avvicina e mi bacia in fronte. Mi abbraccia, ed io ricambio con forza. Sento il suo gracile corpo stretto nel mio, mentre questo si smaterializza lentamente.

A presto.

Il fumo dei sigari si divide, permeando l'aria dell'odore dolce e lasciando tornare il colore della notte giunta a termine al posto delle strisce grigie che si inerpicano in alto.

Quando giungo all'uscita della galleria, diverse luci gialle ed azzurre illuminano una curva con guardrail sfondato. Diverse persone si agitano, si affacciano giù dal ponte, qualcuno prende le misure, qualcun altro sta semplicemente fermo ad impartire a destra ed a sinistra ordini vari. Deve essere successo qualcosa, un incidente con ogni probabilità. Rallento la marcia fino a raggiungere in velocità il passo d'uomo, fiancheggio questo gruppo di uomini, che non mi degnano di uno sguardo, e queste vetture ferme sul ciglio della strada, proseguendo oltre, accelerando. Sento ululati lontani di voci misconosciute che invocano il mio nome, e vedo sulla vallata bagnata i riverberi di qualche stella che resiste al crepuscolo mattutino, che si fa adesso più insistente. Alla debole luce rossastra se ne aggiunge una lievemente più intensa dorata, e dei campi di nuovo grano risalta lo smeraldo tra le strisce nere della terra sollevata. L'aria si fa meno umida e più fresca, apro completamente il finestrino affacciandomi fuori, ricevendo il bacio del giorno. Da quanto tempo sono sulla strada non saprei dirlo, dovrei certamente fermarmi per rifornimento, ma non voglio. Si è creata una atmosfera magica, in cui sono io sulla strada, da solo, ad osservare silenzioso il risveglio del mondo. Tutto intorno a me ricomincia come prima, come ieri e come avantieri, oggi come domani.

Ripenso a quella donna, ne sento la mancanza. Ascolto con la mente le sua voce, che sussurrandomi mi chiede chi potrebbe mai spiegare quello straordinario istinto, che anche dopo un solo incontro, ci fa capire quanto una persona possa essere importante per noi. Per lei questa persona è stata quell'uomo che la ha amata profondamente, ma che lei ha allontanato.

Mi domando chi possa essere per me.

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