II
Qualcosa è cambiato, niente più mi appare lo stesso. E' come se mi fossi appena risvegliato da un lungo sonno, anche se credo di essermi addormentato solamente per un attimo sopra il volante.
In ogni caso, è tutto così strano adesso.
Continuo a guidare nella perfetta solitudine di questa notte, con questa pallida luna che illumina molto meno il cielo di quanto non sia capace. I campi profumano ancora, e possibilmente anche più di poco fa. E mi appare un odore già conosciuto. Inizio un lungo rettilineo, lo percorro a folle velocità mentre la radio urla sempre di più frasi incomprensibili. Pare una cacofonia di voci lontane, ed invece così vicine. Sembra che ce l'abbiano con me, che mi chiamino in continuazione.
La mia mano si ostina a volteggiare fuori dal finestrino, disegnando percorsi geometrici e sospinta da forze diverse. Qualsiasi movimento decida di compiere, alla fine ritorna al punto di partenza.
Sull'altra corsia le luci delle altre macchine che incrociano le mie sembrano molto meno brillanti di prima. Anche la nebbia pare essersi fatta più fitta. Cerco di concentrarmi sulle persone come me che vanno o fuggono da qualche parte, di calarmi nei loro pensieri, sincronizzarmi con il loro respiro, come qualche minuto fa. Per un attimo mi sembra di esserne addirittura capace, sarà forse la stanchezza che comincia a farsi sentire dandomi quella sensazione di onnipotenza mista ad incoscienza. Mi dovrei fermare, ma non ne ho voglia. Così, affondo il piede sempre più, vedo il tachimetro tendere la lancetta fino a dove è in grado. Lancio un'occhiata alla benzina, avevo il pieno prima di partire e mi ritrovo già a poco più di mezza tanca.
Ogni mio pensiero si sussegue al precedente allo stesso ritmo con cui si susseguono le linee bianche tratteggiate sull'asfalto.
Ho la sensazione che questo affrontare la strada nella notte qui al volante sia senza un limite di tempo.
Rivedo l'ombra scura di una nuova galleria, così simile alla precedente. Guardo negli specchietti, cercando chiunque altro oltre a me. Nessuno. La nuova galleria mi attende. La attraverso nel più religioso dei silenzi.
Due fari lontani si avvicinano, il loro chiarore prima distinto si fonde in un unico bagliore con le gelide luci della galleria. Mi sembra che il tempo abbia smesso di scorrere, mi sento strappare via dalla macchina per entrare in quella che sto incrociando, una stranissima sensazione di muta della pelle, una sorta di trasmigrazione. Avverto anche un certo dolore mentre ciò avviene, ed io subisco questa trasformazione con atteggiamento di spettatore, curioso di conoscere la fine della storia. Il vento del finestrino diventa un urlo indistinto, sempre più acuto, ed i miei occhi si avvicinano a quelli dell'unico passeggero dell'automobile scura. Li vedo, sono grandi, con un taglio quasi orientale. Posso apprezzarne finanche il colore, un verde opaco che non brilla più da tempo. Osservo la sua faccia, stanca ed al tempo stesso concentrata. Tutto si avvicina più velocemente di quanto non facciano le due vetture insieme, ed improvvisamente mi ritrovo davanti a lui. Per un attimo non mi vede, poi, ad un tratto, tira di scatto indietro la testa, come a schivare un colpo. Ma è troppo tardi, l'urlo stridente si trasforma in un intenso rumore bianco.
Sembra davvero tutto un sogno.
Lo sguardo di quest'uomo. Ne sento l'attrazione e la repulsione, mi dirigo verso lui con morbosa curiosità. Eppure fugge, ed io, qualunque sia la direzione che prenda per raggiungerlo, mi ritrovo ad essere sempre alla stessa identica distanza., mi ritrovo ad essere sempre alla stessa distanza. ompletamente avvolto in morbosa curiosità. hiato. anti a lui. ncrociando, u
Mi fermo a riflettere. Non è la chiave giusta per entrare nella sua mente, mi devo porre senz'altro in modo diverso, questa situazione merita un approccio diverso, più ragionato, in quanto è fuori dalla routinarietà.
Respiro più lentamente adesso. Sento crescere la voglia di comprendere il perché della fuga, di venirne a capo, possibilmente di fermarla.
Inaspettatamente ottengo risposta ai miei mille perché. Si spalanca improvvisamente il suo io profondo.
Sono dentro.
La possibilità di essere dentro l'anima di qualcuno, poter girovagare liberamente tra i suoi pensieri ed emozioni, saltando da un ricordo all'altro, divenendone per un attimo proprietario assoluto ed allo stesso tempo silenzioso spettatore, può determinare uno stato sublime.
Ti senti improvvisamente arricchito, come se le vite che hai vissuto siano state più di una, tronfio di esperienza e di sapere. Acquisti un terzo occhio, attraverso il quale osservare ogni cosa con un'altra ottica, scoprendo che, magari, quello che avevi sempre dato per sicuro in fondo non lo è poi così tanto. Le sfumature di colore di ogni singola situazione si quadruplicano aumentando di contrasto. Risaltano tutti i pensieri, dal più piccolo al più opprimente, dal più leggero al più vasto. Particolari fondamentali ma mai conosciuti salgono rapidamente a galla, creando un senso di dolorosa scoperta, subito seguita da appagamento. Ti senti padrone della situazione, completamente assuefatto.
Tuttavia, il distacco è repentino ed altrettanto scomodo. Capisci che se non sei stato in grado di dare il tuo contributo, seppur piccolo, non hai lasciato alcun segno che sottolinei la tua presenza in quel momento ed in quel luogo, ti senti del tutto inutile, e tutti i tuoi sforzi non hanno avuto allora ragione di esistere. Non è giustificata neppure la tua intrusione nell'anima di altri, violentandone la sua segretezza. Comprendi che il tempo che hai a disposizione non è quello che tu decidi, ma è quello che ti è concesso. Puoi solamente agire come meglio credi nel modo più efficace. Se davvero ce n'è di bisogno.
E' questo ciò che mi succede. Mi sto movendo nei meandri dei pensieri di un uomo del quale, fino a qualche minuto fa, neppure sospettavo l'esistenza. Ora, invece, io sono nel suo cuore e non posso credere che lui non stia entrando nella mia anima, così come si unisce il bagliore dell'alba alla luce riflessa della notte di luna piena.
Quello che sento, è un freddo vento che percuote una terra brulla, fatta di rocce nude e dai margini taglienti. Un uomo siede per terra a circa trenta passi da me, con le gambe incrociate, le mani sulle ginocchia e il capo chino. Aspetta qualcuno, qualcosa. Mi avvicino con passo titubante e dubbioso, spinto da qualche irrazionale moto interiore.
Alza lo sguardo, accenna ad un debole sorriso, poi abbassa nuovamente il capo. Vorrei presentarmi, chiedere un segno qualsiasi per iniziare una conversazione, ma, stranamente, non riesco a trovare niente di meglio da fare se non sedermi lì accanto a lui, con le gambe incrociate in religiosa attesa. Lo osservo attentamente: mille rughe ne nascondono altrettante, più profonde, dandogli l'aspetto di un uomo ferito, provato dalla vita ed uscitone con dignità senza tuttavia fierezza. Non si alza né si allontana, sta semplicemente fermo. Con le mani stringo un ciottolo dai margini aguzzi, cominciando a rotolarlo tra le mani più volte, studiandone il peso. Lo lascio cadere tra le gambe, butto all'indietro il corpo e chiudo gli occhi. In questo preciso momento, lui inizia a parlare. Dapprima balbettante, incerto su cosa dire e sul modo in cui dirlo, sperando anche in un solo mio sospiro di diniego per interrompere e rimandare a tempo indeterminato quella discussione. Mi parla della sua infanzia. Mi parla dei suoi studi, dei suoi ottimi voti ottenuti senza pensare alla possibilità che, se anche non fossero stati tali, sarebbe stata in ogni caso una vita decorosa. Mi parla dei suoi primi amori, del suo primo incarico di lavoro, della donna da cui ha avuto un figlio che, però, non ha mai visto. Mi racconta con dovizia di particolari del rancore nutrito verso quella donna, fuggita senza preavviso alcuno, senza un motivo valido. Mentre mi narra la sua vita, scandisce le parole, soppesandole. Lo ascolto senza proferire verbo, tenendo gli occhi chiusi ed il cuore aperto, trovando molto delle sue insicurezze e dei suoi dubbi abbastanza vicino a quelli del mio mondo. Eppure, dalle sue parole non fuoriesce pentimento, solo un fortissimo senso di vuoto che non lo abbandona, come la netta sensazione che la sua vita sia la nebbia di una calda mattina che si alza dopo un violento nubifragio, destinata a non lasciar nulla di sé nel giorno a venire.
Improvvisamente, rialza la testa e ammutolisce; mi osserva, mi studia. Mi siedo nuovamente e lo guardo anche io.
Parla in modo molto fluente, anche se non saprei dire se da qualche minuto oppure da diverse ore. Inizio ad inserirmi tra i suoi pensieri, dandogli talvolta un parere o preferendo continuare ad ascoltarlo.
Mi parla della sua stanchezza di subire una vita che segue le sue direzioni, di subire un destino del quale, pensava, fosse possibile influenzarne almeno qualche aspetto, pur non potendolo cambiare. Ma si trattava solo di mere illusioni. Quello che viene influenzato non è il destino, ma solo il proprio approccio emozionale con lui. Si vive il proprio fato subendolo, e si crede di poterne cambiare la rotta e magari ci si convince di riuscirci. Ma lui è lì, aspetta pazientemente a braccia aperte, facendoci credere di essere ognuno arbitro della propria vita. Cambia poco, il destino è uno, ed uno soltanto.
Improvvisamente l'uomo si interrompe, ed incrocia il mio sguardo.
Chi sei, tu che mi appari così familiare ed ascolti e lasci che io mi sfoghi con te, senza averne nulla in cambio?
Ovviamente, non conosco la risposta. Né ha senso improvvisarne una che risulti credibile.
Semplicemente, non lo so.
Credo che in cuor tuo tu già lo sappia, ma non ne sia ancora convinto. Quel che è certo è che oggi mi hai fatto parlare per la prima volta nella mia vita, e questo mi è servito. Talvolta, può risultare utile anche sentire il suono della propria voce, quando uno dimentica la sua strada, così da orientarsi come fa il viandante smarritosi circondato da rupi e valli. Di questo,già ti ringrazio. Se poi mi ritrovo a parlare con te come se ci unisse da tempo un forte legame, allora hai davvero un grande merito.
Come è strano.
Mi poggia la mano sulla spalla, sorridendo. Il suo viso invecchia velocemente ed i suoi capelli diventano più canuti; poi si dissolve lentamente, così come il mondo che ci circonda. Si alza, dunque, la brezza del mattino, e si dissipa la nebbia.
La mia automobile si allontana dalla sua, proseguendo ciascuna per la propria strada.