La strada nella Notte

 

 A ciascuna Persona senza nome

incontrata nei miei viaggi, senza la quale

non sarebbe stato possibile scrivere

una sola parola di questo libro.

 

I

Il finestrino è aperto, con il freddo di fuori che mi accarezza la tempia, mentre entra sibilando tutto intorno a me. L'automobile corre dentro la notte, le ruote divorano avidamente il rettilineo, confondendosi con il buio e lasciandosi dietro nient'altro che nudo asfalto. La radio accesa gracchia nel vano tentativo di sintonizzarsi su una qualsiasi stazione, ma, ovunque si fermi, non sembra poi più di tanto convinta della scelta, e così riparte. La mia mano volteggia fuori dal vetro in un volo controllato mentre una fresca umidità si impadronisce della pelle.

Solo il vuoto, spaventoso e vorace, che ingoia i miei pensieri, le emozioni, il nastro interminabile della autostrada, il grido da bestia ferita, represso in gola, che mi comprime il petto.

Il piede sull'acceleratore è rigido, immobile e pesante a spingere giù e così corro, lacerando la notte fredda, il passato ed il futuro. Due luci alle spalle, sempre più grandi e vicine, ed il lampeggiare dell'indicatore. Una macchina lucida mi sorpassa, mi tiene per un po' compagnia, si rimpicciolisce a vista d'occhio fino a diventare due punti rossi lontani, per poi scomparire sulla linea dell'orizzonte.

Sull'altra carreggiata le luci mi vengono incontro veloci dal fondo, si ingrandiscono. Le seguo con lo sguardo finchè posso, per aggrapparmi alla loro presenza su quella stessa strada, per cacciare via o illudermi di poter cacciare via il senso di vuoto, di paura. Mi domando chi ci possa essere dentro quelle auto, quanti di loro siano impazienti di arrivare da qualche parte, a casa, il giorno dopo. Chissà quanti di loro sono come me, uomini dallo sguardo stanco, lanciato in una corsa folle ed inutile.

Uomini in fuga da se stessi.

Allungo fuori la mano spezzando il mormorio ipnotico della radio. Al di là del parabrezza, il teschio di ghiaccio della luna aggrappato al cielo logoro. La notte fa paura quando sorride beffarda, quando scava dentro la vita già trascorsa e fa rinascere cose credute sepolte, perdute, smovendo sentimenti ed emozioni da sotto la sabbia. Finendo per alzare magari solamente un gran polverone.

Un ricordo emerge di colpo dal vuoto dell'anima e mi affiora silenzioso il sorriso di alberi fioriti ed il volo antico di cento farfalle e mille colori, colori proibiti.

Gli occhi di un bambino.

Mi tornano in mente tutti quei momenti passati giocando, senza il doversi chiedere il perché di ciò che si faceva. Quel costruire improbabili case in miniatura utilizzando solamente tegole e pietre fragili. Quel rincorrersi e nascondersi. Quel fingere di essere padrone incontrastato di un mondo fantastico fatto a propria misura, dove il nome di un animale era da solo in grado di dare vita ad un personaggio che ti avrebbe poi fatto compagnia per tutto il tempo di cui disponevi e avevi voglia, per sparire quando decidevi, perché così girava il gioco. Ricordo il bene innato che riuscivo a volere alle persone, anche a chi rideva di me per il mio modo buffo di essere.

Adesso gli occhi del bambino hanno fatto posto ad una nuova visione del mondo, attraverso più comode lenti, filtri di quello che mi interessa da quello di cui, invece, non voglio essere più neppure sfiorato.

Cicatrici sempre più profonde hanno solcato l'animo. Amicizie. Amori. Nuove responsabilità. Mi chiedo quanta pena sia valsa il mio crescere in fretta, affrontando, di improvviso uomo, il mondo, interrompendo e violentando la mia infanzia. Penso e ripenso, ed i bei ricordi vanno perdendosi come rose tra l'erbaccia.

Quanto sono cambiato! Chiudo gli occhi.

Pigio sull'acceleratore, sono l'unica forma di vita per la strada. Tutto il resto è invisibile. Questo mio viaggio notturno pare sia senza meta, e l'alba è ancora lontana.

La sagoma nera di un autotreno si stacca dall'orizzonte finchè mi si erge davanti, enorme, possente, un mostro di età passate. Oltre l'autotreno, un'ombra più nera e profonda, la bocca di una galleria. Incontro i miei occhi, riflessi sul parabrezza, brillare come quelli di un gatto, senza sguardo. La galleria aspetta immobile. Sorpasso il pesante mezzo che mi precede ed il rombo del motore riempie la galleria. Quando ne esco fuori ripiombo nel vuoto della notte.

Rivedo le maschere che mi sono lasciato dietro, i mille me stesso che sono stato capace di inventare, che gli altri sono stati capaci di creare per sé ognuno secondo il suo modo di essere. Ripenso alla rabbia orgogliosa con cui si è spogliato dei propri sogni e sorrido ironicamente per la condizione ultima, senza menzogne, senza verità, senza colpa e senza innocenza. Solo disperazione della mia indifferenza. E corro, corro sul manto nero dell'autostrada, verso un'altra galleria, corro contro vento.

Si è alzata una fitta nebbia che si confonde con il vapore del fiato, entra fin dentro la macchina come a voler cercar rifugio. Non si riesce a vedere al di là del proprio braccio, ma intanto continuo ad andare a ritmo sostenuto. In lontananza si possono intravedere alcune fioche luci di un qualche paese sconosciuto. Sono sempre di meno, ormai l'ora tarda sta convincendo anche il più recalcitrante tra gli uomini ad abbandonarsi ad un sonno ristoratore.

Gli odori dei campi si fanno più pungenti adesso, vengono rafforzati dal profumo dell'acqua che questo pomeriggio ha abbondantemente innaffiato il terreno.

Immagino il canto dei grilli e delle cicale, il muoversi di piccoli animali lì in mezzo al grano secco indurito dal sole. Mi convinco che forse lo sento davvero, pur consapevole che si tratti solamente dell'aria che soffia forzatamente intorno alle mie orecchie, mentre la radio continua a mormorare qualcosa di incomprensibile e di incompleto.

Le figure che mi circondano si fanno sempre più confuse nei lineamenti e tendono a fondersi con le linee scure del cielo orfano del giorno. La luce va scemando, le stelle fuggono, e mi pare che non siano più sufficienti neanche gli abbaglianti ad illuminare la scena.

Solitamente non fumo, ma sono convinto che se avessi questo vizio sceglierei proprio questo momento di malinconia e di inquietudine di animo per accendermi quella fatidica sigaretta che per anni mi sono vietato.

Il guardrail mi si para innanzi all'improvviso ed è solo un attimo. Un secondo che si dilata nel tempo oltre ogni limite. Faccio la mia scelta. Spingo giù l'acceleratore. Fuga da se stessi. Una manciata di secondi. La curva.

Qualcosa esplode intorno a me nel momento in cui comprendo di non aver scelto nulla, quando mi assale il dubbio che la mia mossa sia stata già predestinata da tempo. Esplode il grido represso da bestia ferita, esplode con il sapore acre del sangue mentre il parabrezza va in frantumi e le lamiere si ripiegano su se stesse riempiendo il vuoto della galleria di mille echi e dell'ultimo volo di cento farfalle.

Il dolore lo sento nascere e morire al suo primo vagito. Il blu della notte regala improvvisi spazi a lampi di fuoco, per riprenderseli inghiottendoli dopo il tempo concesso loro. Il fragore diventa suono bianco, poi il silenzio. Mi sento leggero.


II

Qualcosa è cambiato, niente più mi appare lo stesso. E' come se mi fossi appena risvegliato da un lungo sonno, anche se credo di essermi addormentato solamente per un attimo sopra il volante.

In ogni caso, è tutto così strano adesso.

Continuo a guidare nella perfetta solitudine di questa notte, con questa pallida luna che illumina molto meno il cielo di quanto non sia capace. I campi profumano ancora, e possibilmente anche più di poco fa. E mi appare un odore già conosciuto. Inizio un lungo rettilineo, lo percorro a folle velocità mentre la radio urla sempre di più frasi incomprensibili. Pare una cacofonia di voci lontane, ed invece così vicine. Sembra che ce l'abbiano con me, che mi chiamino in continuazione.

La mia mano si ostina a volteggiare fuori dal finestrino, disegnando percorsi geometrici e sospinta da forze diverse. Qualsiasi movimento decida di compiere, alla fine ritorna al punto di partenza.

Sull'altra corsia le luci delle altre macchine che incrociano le mie sembrano molto meno brillanti di prima. Anche la nebbia pare essersi fatta più fitta. Cerco di concentrarmi sulle persone come me che vanno o fuggono da qualche parte, di calarmi nei loro pensieri, sincronizzarmi con il loro respiro, come qualche minuto fa. Per un attimo mi sembra di esserne addirittura capace, sarà forse la stanchezza che comincia a farsi sentire dandomi quella sensazione di onnipotenza mista ad incoscienza. Mi dovrei fermare, ma non ne ho voglia. Così, affondo il piede sempre più, vedo il tachimetro tendere la lancetta fino a dove è in grado. Lancio un'occhiata alla benzina, avevo il pieno prima di partire e mi ritrovo già a poco più di mezza tanca.

Ogni mio pensiero si sussegue al precedente allo stesso ritmo con cui si susseguono le linee bianche tratteggiate sull'asfalto.

Ho la sensazione che questo affrontare la strada nella notte qui al volante sia senza un limite di tempo.

Rivedo l'ombra scura di una nuova galleria, così simile alla precedente. Guardo negli specchietti, cercando chiunque altro oltre a me. Nessuno. La nuova galleria mi attende. La attraverso nel più religioso dei silenzi.

Due fari lontani si avvicinano, il loro chiarore prima distinto si fonde in un unico bagliore con le gelide luci della galleria. Mi sembra che il tempo abbia smesso di scorrere, mi sento strappare via dalla macchina per entrare in quella che sto incrociando, una stranissima sensazione di muta della pelle, una sorta di trasmigrazione. Avverto anche un certo dolore mentre ciò avviene, ed io subisco questa trasformazione con atteggiamento di spettatore, curioso di conoscere la fine della storia. Il vento del finestrino diventa un urlo indistinto, sempre più acuto, ed i miei occhi si avvicinano a quelli dell'unico passeggero dell'automobile scura. Li vedo, sono grandi, con un taglio quasi orientale. Posso apprezzarne finanche il colore, un verde opaco che non brilla più da tempo. Osservo la sua faccia, stanca ed al tempo stesso concentrata. Tutto si avvicina più velocemente di quanto non facciano le due vetture insieme, ed improvvisamente mi ritrovo davanti a lui. Per un attimo non mi vede, poi, ad un tratto, tira di scatto indietro la testa, come a schivare un colpo. Ma è troppo tardi, l'urlo stridente si trasforma in un intenso rumore bianco.

Sembra davvero tutto un sogno.

Lo sguardo di quest'uomo. Ne sento l'attrazione e la repulsione, mi dirigo verso lui con morbosa curiosità. Eppure fugge, ed io, qualunque sia la direzione che prenda per raggiungerlo, mi ritrovo ad essere sempre alla stessa identica distanza., mi ritrovo ad essere sempre alla stessa distanza. ompletamente avvolto in morbosa curiosità. hiato. anti a lui. ncrociando, u

Mi fermo a riflettere. Non è la chiave giusta per entrare nella sua mente, mi devo porre senz'altro in modo diverso, questa situazione merita un approccio diverso, più ragionato, in quanto è fuori dalla routinarietà.

Respiro più lentamente adesso. Sento crescere la voglia di comprendere il perché della fuga, di venirne a capo, possibilmente di fermarla.

Inaspettatamente ottengo risposta ai miei mille perché. Si spalanca improvvisamente il suo io profondo.

Sono dentro.

La possibilità di essere dentro l'anima di qualcuno, poter girovagare liberamente tra i suoi pensieri ed emozioni, saltando da un ricordo all'altro, divenendone per un attimo proprietario assoluto ed allo stesso tempo silenzioso spettatore, può determinare uno stato sublime.

Ti senti improvvisamente arricchito, come se le vite che hai vissuto siano state più di una, tronfio di esperienza e di sapere. Acquisti un terzo occhio, attraverso il quale osservare ogni cosa con un'altra ottica, scoprendo che, magari, quello che avevi sempre dato per sicuro in fondo non lo è poi così tanto. Le sfumature di colore di ogni singola situazione si quadruplicano aumentando di contrasto. Risaltano tutti i pensieri, dal più piccolo al più opprimente, dal più leggero al più vasto. Particolari fondamentali ma mai conosciuti salgono rapidamente a galla, creando un senso di dolorosa scoperta, subito seguita da appagamento. Ti senti padrone della situazione, completamente assuefatto.

Tuttavia, il distacco è repentino ed altrettanto scomodo. Capisci che se non sei stato in grado di dare il tuo contributo, seppur piccolo, non hai lasciato alcun segno che sottolinei la tua presenza in quel momento ed in quel luogo, ti senti del tutto inutile, e tutti i tuoi sforzi non hanno avuto allora ragione di esistere. Non è giustificata neppure la tua intrusione nell'anima di altri, violentandone la sua segretezza. Comprendi che il tempo che hai a disposizione non è quello che tu decidi, ma è quello che ti è concesso. Puoi solamente agire come meglio credi nel modo più efficace. Se davvero ce n'è di bisogno.

E' questo ciò che mi succede. Mi sto movendo nei meandri dei pensieri di un uomo del quale, fino a qualche minuto fa, neppure sospettavo l'esistenza. Ora, invece, io sono nel suo cuore e non posso credere che lui non stia entrando nella mia anima, così come si unisce il bagliore dell'alba alla luce riflessa della notte di luna piena.

Quello che sento, è un freddo vento che percuote una terra brulla, fatta di rocce nude e dai margini taglienti. Un uomo siede per terra a circa trenta passi da me, con le gambe incrociate, le mani sulle ginocchia e il capo chino. Aspetta qualcuno, qualcosa. Mi avvicino con passo titubante e dubbioso, spinto da qualche irrazionale moto interiore.

Alza lo sguardo, accenna ad un debole sorriso, poi abbassa nuovamente il capo. Vorrei presentarmi, chiedere un segno qualsiasi per iniziare una conversazione, ma, stranamente, non riesco a trovare niente di meglio da fare se non sedermi lì accanto a lui, con le gambe incrociate in religiosa attesa. Lo osservo attentamente: mille rughe ne nascondono altrettante, più profonde, dandogli l'aspetto di un uomo ferito, provato dalla vita ed uscitone con dignità senza tuttavia fierezza. Non si alza né si allontana, sta semplicemente fermo. Con le mani stringo un ciottolo dai margini aguzzi, cominciando a rotolarlo tra le mani più volte, studiandone il peso. Lo lascio cadere tra le gambe, butto all'indietro il corpo e chiudo gli occhi. In questo preciso momento, lui inizia a parlare. Dapprima balbettante, incerto su cosa dire e sul modo in cui dirlo, sperando anche in un solo mio sospiro di diniego per interrompere e rimandare a tempo indeterminato quella discussione. Mi parla della sua infanzia. Mi parla dei suoi studi, dei suoi ottimi voti ottenuti senza pensare alla possibilità che, se anche non fossero stati tali, sarebbe stata in ogni caso una vita decorosa. Mi parla dei suoi primi amori, del suo primo incarico di lavoro, della donna da cui ha avuto un figlio che, però, non ha mai visto. Mi racconta con dovizia di particolari del rancore nutrito verso quella donna, fuggita senza preavviso alcuno, senza un motivo valido. Mentre mi narra la sua vita, scandisce le parole, soppesandole. Lo ascolto senza proferire verbo, tenendo gli occhi chiusi ed il cuore aperto, trovando molto delle sue insicurezze e dei suoi dubbi abbastanza vicino a quelli del mio mondo. Eppure, dalle sue parole non fuoriesce pentimento, solo un fortissimo senso di vuoto che non lo abbandona, come la netta sensazione che la sua vita sia la nebbia di una calda mattina che si alza dopo un violento nubifragio, destinata a non lasciar nulla di sé nel giorno a venire.

Improvvisamente, rialza la testa e ammutolisce; mi osserva, mi studia. Mi siedo nuovamente e lo guardo anche io.

Parla in modo molto fluente, anche se non saprei dire se da qualche minuto oppure da diverse ore. Inizio ad inserirmi tra i suoi pensieri, dandogli talvolta un parere o preferendo continuare ad ascoltarlo.

Mi parla della sua stanchezza di subire una vita che segue le sue direzioni, di subire un destino del quale, pensava, fosse possibile influenzarne almeno qualche aspetto, pur non potendolo cambiare. Ma si trattava solo di mere illusioni. Quello che viene influenzato non è il destino, ma solo il proprio approccio emozionale con lui. Si vive il proprio fato subendolo, e si crede di poterne cambiare la rotta e magari ci si convince di riuscirci. Ma lui è lì, aspetta pazientemente a braccia aperte, facendoci credere di essere ognuno arbitro della propria vita. Cambia poco, il destino è uno, ed uno soltanto.

Improvvisamente l'uomo si interrompe, ed incrocia il mio sguardo.

Chi sei, tu che mi appari così familiare ed ascolti e lasci che io mi sfoghi con te, senza averne nulla in cambio?

Ovviamente, non conosco la risposta. Né ha senso improvvisarne una che risulti credibile.

Semplicemente, non lo so.

Credo che in cuor tuo tu già lo sappia, ma non ne sia ancora convinto. Quel che è certo è che oggi mi hai fatto parlare per la prima volta nella mia vita, e questo mi è servito. Talvolta, può risultare utile anche sentire il suono della propria voce, quando uno dimentica la sua strada, così da orientarsi come fa il viandante smarritosi circondato da rupi e valli. Di questo,già  ti ringrazio. Se poi mi ritrovo a parlare con te come se ci unisse da tempo un forte legame, allora hai davvero un grande merito.

Come è strano.

Mi poggia la mano sulla spalla, sorridendo. Il suo viso invecchia velocemente ed i suoi capelli diventano più canuti; poi si dissolve lentamente, così come il mondo che ci circonda. Si alza, dunque, la brezza del mattino, e si dissipa la nebbia.

La mia automobile si allontana dalla sua, proseguendo ciascuna per la propria strada.


III

Il lungo dorso scuro di questo serpente chiamato strada si scioglie davanti a me più lentamente adesso.

Tengo le mani ferme sul volante, e gli occhi sull'orizzonte. Il cielo sembra ovattato, un dipinto impressionistico venuto fuori dal pennello di un artista incerto.

Le strisce si alternano sul fondo stradale, spettatrici noncuranti dei percorsi della mia mente.

La radio mi propone canzoni degli anni ottanta, intervallate da fruscii di sottofondo che si fanno più intensi. Premo con pressione costante sul pedale dell'acceleratore, dando di tanto in tanto un'occhiata alla lancetta che mi indica il carburante residuo. Me ne rimane circa un quarto di quello con cui sono partito; non pensavo che sarei riuscito a stare al volante per così tante ore ininterrottamente, senza fermarmi, senza sentire il bisogno di riposare. La lancetta è il mio unico indizio del tempo trascorso in macchina, anche se già si comincia ad intravedere la debole luce rosso cadmio di un mattino precoce.

Il finestrino è sempre aperto per metà, passaggio obbligato per l'aria fresca che esce dopo aver rubato il poco calore presente attorno a me. Questo non mi disturba, anzi contribuisce a tenermi sveglio.

Stranamente, dopo l'incontro con quell'uomo, mi sento più pesante. Mi sono caricato dei suoi pensieri, delle sue sofferenze, avvolto in uno stretto rapporto empatico. Quello che lui provava, lo provo adesso pure io.

Si è trattato di uno scambio impari, sbilanciato, dal quale, mentre lui ne è uscito più leggero, io dall'altra parte adesso sento sulle mie spalle un nuovo grave, fatto di passato e di sentimenti repressi che hanno preso forma nel libero sfogo di quell'uomo. Tuttavia, non me ne sento eccessivamente appesantito. Per una volta, anzi, sono felice di avere avuto un ruolo, seppure temporaneo e di poco significato, nella vita di un uomo che si nasconde a se stesso, dandogli dimora per un riposo agognato, una illusoria libertà dal suo presente. Nel suo sfogo vi era contemporaneamente la sua accettazione del proprio essere, una costante presa di coscienza dei propri limiti e dei propri errori, se tali questi possano essere considerati. E' riuscito a realizzare una scheletrizzazione dei propri pensieri che mi ritrovo ad invidiare, liberandoli da dogmi e da barocchismi, dei quali, invece, mi rendo conto di essere schiavo e caricato. Poco male, in me i suoi pensieri più remoti, che gli ottenebravano lo sguardo, troveranno facilmente posto tra le scatole ammucchiate disordinatamente nella cantina del mio io più nascosto, per essere abbandonate all'oblio ed essere nuovamente richiamate alla luce e rispolverate all'occorrenza, quando sarà per me necessaria un'emozione che mi faccia sentire vivo. Così come ci si dà un pizzicotto davanti ad una situazione irreale, allo stesso modo i ricordi dolorosi mi stringeranno il cuore per ricordargli che batte.

La macchina divora metri su metri, impostando ordinatamente le curve, rallentando raramente.

Mi tornano in mente le parole di quell'uomo, talvolta come consigli ed ammonimenti, altre come idee fini a se stesse, e fanno compagnia alla mia riflessione di stanotte. Era da un po' che non accadeva che il mio pensiero volasse alto. Negli ultimi tempi, mi è capitato raramente di riflettere su qualcosa che trascendesse dai problemi legati al lavoro ed a tutte quelle pratiche quotidiane che costituiscono solo volume nella mia giornata usuale. Queste ultime si dispongono come tanti tasselli, a ricoprire una parete senza più spazio, iniziando finanche a sovrapporsi in una moltitudine di strati, nascondendo completamente il colore originario ed il disegno della vita.

Mi domando adesso il perché di tutto questo. Abbiamo una sola vita, forse occasione unica se avranno ragione le correnti di pensiero che negano la metempsicosi, e lasciamo che questa ci venga vissuta dagli altri, i quali ci impongono ritmi e modi di essere. Tutto questo non ha senso. Toglie l'importanza al tuo essere. Al giorno d'oggi, sin da quando iniziamo a muovere i primi passi, cominciamo a subire il progetto altrui sulla nostra esistenza. Giocattoli che ci sommergono con i loro rispettivi manuali di istruzione semplificati, magari avuti su nostra stessa fanciullesca richiesta ma solo perché frutto di informazioni reiterate e svianti su come devono essere trascorsi i nostri momenti liberi. La scuola, che iniziamo sempre prima, per imparare presto a scrivere ed a leggere. Certo ci riusciamo, ma il prezzo è alto: disimpariamo a piangere di cuore, dopo che le madri ci avranno lasciato per più di una volta davanti alla scuola, per un'infanzia che ci gira improvvisamente le spalle, costringendoci a crescere. Dobbiamo affrontare la vita, da subito. Iniziamo così a riempire le giornate di studio, sport ed attività varie con un ritmo imposto dai nostri genitori, a loro dalla società, per riuscire ad integrarci quanto prima. E dopo, forziamo queste attività per conoscere il nostro limite: è anche giusto. Forse, o forse no. Spesso l'ignoranza, da piccoli come da grandi, è un bene prezioso da salvaguardare. Nessuno che possedesse saggezza è mai stato per questo felice. Nel caso specifico, se raggiungiamo e superiamo il nostro limite, non lo rendiamo più tale e ne cerchiamo inconsapevolmente uno più grande. Se non vi riusciamo, allora diventa tale, ma non deve andare per forza in questo modo. Sono tanti i fattori che concorrono per creare quel limite, e questi non dipendono necessariamente da noi: l'età, le occasioni, il caso, le persone che ci circondano. Allora quello perde ogni significato, ed i confini della semantica di questa parola dovranno essere necessariamente rivisti.

Spesso succede di riuscire, alla fine, ad eccellere in ogni cosa cui ci porgiamo con volontà e diventiamo esempi modello che superano i loro limiti. Certo, è encomiabile. Tuttavia, se allarghiamo lo sguardo e allunghiamo i nostri sensi poco oltre la nostra sfera esistenziale, ci rendiamo conto di quanti siano gli elementi mancanti, i tasselli che non puoi apporre alla parete perché non sapresti neanche come definirli, perché semplicemente non ci sono nella tua vita. Peggio ancora, riconosciamo che manca qualcosa, ma cosa, non sapremmo dirlo. Non abbiamo la bellezza del silenzio dell'animo necessario a riconoscere i mille e più colori del caleidoscopio di luce che il sole alto crea passando tra le foglie bagnate di un bosco svegliatosi da poco, né capiamo le ragioni del nostro silenzio attonito quando ci troviamo dinanzi una vallata innevata senza niente e nessuno intorno, di quella sensazioni di smarrimento che ci provoca la solitudine davanti allo spirito antico della Natura, nascosto nei fiumi tumultuosi e nei ghiacciai dagli echi assenti. Sono sensazioni figlie della nostra incapacità di sentire quantomeno familiare il canto di questi posti. Troppo trambusto oggi intorno a noi, vi è un'insopportabile continua corsa verso traguardi vecchi e nuovi. Esiste un modo diverso di vivere il tutto, ma temo che del ricordo ancestrale della vita non sia rimasto altro se non la paura della morte. 

Potremmo imparare molto se solo fossimo più umili e tentassimo di ascoltare il silenzio. E se anche questo tentativo di affacciarci ad una vita nuova dovesse fallire, non avremmo comunque perso tempo. Perché il tempo non si perde, ma al contrario lo si guadagna sempre ed in ogni caso.

Così non riflettiamo, e percorriamo la strada del progresso. Raggiungiamo le tappe designate nei tempi previsti, gioiamo di questo risultato, partiamo verso nuovi traguardi, e poi ricominciamo.

Ci ritroviamo già grandi avendo saltato la prima parte della vita, e non abbiamo alcun mezzo per tentare di recuperarla. Perdiamo il sorriso, pur avendo conquistato tutto quello che dovevamo avere ed essendo diventati quello che dovevamo essere.

Poi ci giriamo dall'altra parte, e succede che in uno dei nostri viaggi ludici atti a sfamare la nostra necessità di colmare invano un vuoto che sentiamo opprimente dentro di noi, oppure standocene semplicemente a casa a recuperare le energie per la giornata successiva trascorrendo il tempo davanti al televisore, allora ci accorgiamo che esistono altre persone che non vivono allo stesso modo. Passano intere giornate nell'acqua blu del mare a procacciarsi cibo, oppure a scavare nella sabbia alla ricerca di acqua potabile, dormono sotto il sombrero per quasi tre quarti della giornata e festeggiano appena ne hanno la possibilità, non lavorando neppure il sabato e la domenica. Mangiano roba che tu non oseresti, camminano nudi con i piedi consunti da troppe marce, od ancora hanno la pancia gonfia e braccia secche, senza peraltro rinunciare a giocare ignorando che la loro esistenza non avrà la tua stessa identica durata. Se avremo modo di incontrarli, e se loro ci guarderanno con le mani vuote e con occhi pieni di vita, allora forse la nostra vita avrebbe potuto essere vissuta diversamente. E ci renderemmo conto che quello che conta della vita non è certo la sua durata.

Può essere tutto diverso, forse.

L'ombra di una galleria mi si forma improvvisamente davanti. Somiglia in ogni suo particolare a quella che avevo incontrato prima, ed io accantono i miei pensieri per concentrarmi sulla guida. Sembra un circolo vizioso.

Stringo i pugni sul volante, l'aria soffia dal finestrino. Percorro il breve rettilineo ed affondo nel ventre della collina, con le luci chiare che si ora alternano fastidiosamente sui miei occhi, e con la netta sensazione di essere nuovamente al punto di partenza.


IV

Dentro il tunnel, la radio smette improvvisamente di gracchiare, lasciando un suono stridulo ed indefinito che, tuttavia, non mi infastidisce a tal punto da doverla spegnere.

Incrocio una seconda automobile. Viene dalla carreggiata opposta, a velocità costante, i fari alti e cosparsi di insetti, vittime della notte. Si avvicina fino a raggiungere la posizione della mia macchina.

Ho male, si solleva un turbinio di polvere misto a brina.

Come il disegno del fumo di due sigari che danza, mischiandosi e dividendosi e dando vita alle figure dell'immaginazione, allo stesso modo mi sento trasportato verso il conducente dell'altra macchina, una donna sulla trentina di anni. E' in dolce attesa di un figlio senza padre, lei che fugge gli uomini.

Le sono davanti. Vedo i suoi occhi, di un blu profondo e malinconico; le sue labbra, serrate in un sorriso stretto; i suoi capelli, corti e scuri sulla fronte. Muove di lato la testa come per scansarmi, ma è tardi.

Ci ritroviamo seduti l'uno accanto all'altra su degli sgabelli alti, io con i gomiti poggiati sul bancone di un improbabile bar, a circondare con le mani un bicchiere di birra scura, lei con le mani incrociate in una sorta di preghiera, con lo sguardo fisso e penetrante su di me.

Le luci fioche del saloon ammorbidiscono il profilo tagliente del suo viso, dando una sfumatura onirica al nostro sommesso incontro.

E' da molto che non ci vediamo.

Per la verità non la ricordo, anche se il suo odore mi appare stranamente familiare e mi mette a mio agio.

Mi sorride rassicurante. Il suo parlare adagio assomiglia ad una nenia, che canta di viaggi in terre lontane e di persone che hanno lasciato un segno pur restando senza nome. Canta di prati in fiore e dei campi di grano verde che si imbruniscono in autunno e si nascondono nella terra al cadere della prima neve. Del sussulto al primo segno di vita all'interno del grembo, delle lacrime non asciugate perché già da tempo la sua vita aveva preso una strada che la avrebbe portata lontana dagli affetti. Un po' per paura, un po' per ribellione, un po' per non sentirsi un uccello in gabbia.

Sai, la gabbia però non sarebbe stata così male. Dipende come la si vive. Forse, se avessi avuto meno orgoglio, in questo momento, al posto delle mie mani sulla pancia sarebbe appoggiato l'orecchio dell'amante, che gioisce al primo calcio e che dopo avermi baciata, offre a tutti un brindisi con il vino migliore.

O forse non sarebbe stato così. Non è dato a noi di sapere.

Nel frattempo, ordiniamo altro da bere, scoprendo simili modi di pensare e scambiandoci idee ed opinioni sul significato del nostro amore per i viaggi.

Conoscere paesi e genti e culture, certamente. Ma soprattutto cercare una risposta al senso della vita. Vedere se altre persone vivono la loro vita diversamente da come facciamo noi, capire se la nostra direzione possa essere quella giusta. Esistono tanti modi di vivere, ma quello migliore per ciascuno di noi è uno soltanto, ed il suo modello non è applicabile a quello di nessun altro.

Passa il tempo, gli occhi della donna mi parlano in un linguaggio diverso e più profondo rispetto alla sua voce, e questo doppio dialogo non mi è nuovo. I nostri discorsi ormai spaziano liberamente di intensità e di argomenti. E' un dolce discorrere.

Quando il discorso cade sull'amicizia, il suo sguardo si fa d'un tratto serio.

Non ha legami, non ne ha mai avuti. Qualche tentativo di istaurare qualcosa di stabile in effetti l'aveva fatto, ma ne era rimasta ben presto ferita e, così, aveva preferito una preziosa solitudine ad una inutile compagnia. Questa suo ripudiare il legame con le altre persone si era ripercosso sulla sua vita affettiva in toto, così che le andava stretta l'idea di un legame a lungo termine con chiunque, amico o amante che fosse.

Mentre mi racconta delle sue delusioni, dentro di me si proiettano le mie, in un'analisi introspettiva dolorosa. Riaffiorano amici fino a quando conveniva loro di essere tali, profittatori e comunque mai troppo sinceri. Oppure persone che si idealizza, convogliando le proprie energie verso il loro bene per trovarsi, alla fine, con meno di un pugno di mosche in mano. Ci si chiede il reale significato dell'essere amico e di averne.

La donna che ho di fronte mi suggerisce il suo pensiero, che per certi versi risuona simile al mio.

La necessità di avere amici è una risposta al nostro sentirci soli, al nostro senso di nichilismo rispetto al mondo che crediamo di non essere in grado di affrontare da soli. Ma allo stesso tempo, rispecchia la voglia di dare un segno di sé ad un'altra persona, in modo tale che questa ne dia uno a noi, rompendo un silenzio interiore che trema solamente davanti all'idea di una morte che sopraggiunga prima che si sia dato un significato alla vita.

Magari è così. Forse la necessità di avere un amico è quella di vedere che qualcuno riconosca il fatto chge tu stesso esista, dandoti prova reale di vita.

Mi inquietano le parole della donna, e mi affascinano. Anche in lei, come nell'uomo incontrato prima, le parole non velano misteri. Mi parla come se ogni suono uscito dalla sua bocca dovesse essere custodito per sempre nel mio cuore.

Mi sento onorato da questa inaspettata fiducia, e le sue emozioni si raccolgono negli scaffali più alti del mio animo, accanto a quelle regalatemi dall'uomo, accanto a quelle poche raccolte nella mia vita, accanto alle molte ormai mie proprie.

Come ogni cosa bella, anche l'incontro con la donna dagli occhi blu è destinato ad avere una fine.

Quando decide di andare, lei si alza lentamente. Ha lineamenti estremamente familiari, adesso. I suoi capelli le cadono giù dalla fronte nascondendo rughe che prima non avevo notato ed avrei giurato che non ci fossero mai state. Non stacca gli occhi dai miei, si avvicina e mi bacia in fronte. Mi abbraccia, ed io ricambio con forza. Sento il suo gracile corpo stretto nel mio, mentre questo si smaterializza lentamente.

A presto.

Il fumo dei sigari si divide, permeando l'aria dell'odore dolce e lasciando tornare il colore della notte giunta a termine al posto delle strisce grigie che si inerpicano in alto.

Quando giungo all'uscita della galleria, diverse luci gialle ed azzurre illuminano una curva con guardrail sfondato. Diverse persone si agitano, si affacciano giù dal ponte, qualcuno prende le misure, qualcun altro sta semplicemente fermo ad impartire a destra ed a sinistra ordini vari. Deve essere successo qualcosa, un incidente con ogni probabilità. Rallento la marcia fino a raggiungere in velocità il passo d'uomo, fiancheggio questo gruppo di uomini, che non mi degnano di uno sguardo, e queste vetture ferme sul ciglio della strada, proseguendo oltre, accelerando. Sento ululati lontani di voci misconosciute che invocano il mio nome, e vedo sulla vallata bagnata i riverberi di qualche stella che resiste al crepuscolo mattutino, che si fa adesso più insistente. Alla debole luce rossastra se ne aggiunge una lievemente più intensa dorata, e dei campi di nuovo grano risalta lo smeraldo tra le strisce nere della terra sollevata. L'aria si fa meno umida e più fresca, apro completamente il finestrino affacciandomi fuori, ricevendo il bacio del giorno. Da quanto tempo sono sulla strada non saprei dirlo, dovrei certamente fermarmi per rifornimento, ma non voglio. Si è creata una atmosfera magica, in cui sono io sulla strada, da solo, ad osservare silenzioso il risveglio del mondo. Tutto intorno a me ricomincia come prima, come ieri e come avantieri, oggi come domani.

Ripenso a quella donna, ne sento la mancanza. Ascolto con la mente le sua voce, che sussurrandomi mi chiede chi potrebbe mai spiegare quello straordinario istinto, che anche dopo un solo incontro, ci fa capire quanto una persona possa essere importante per noi. Per lei questa persona è stata quell'uomo che la ha amata profondamente, ma che lei ha allontanato.

Mi domando chi possa essere per me.


V

Abbasso tutti i finestrini della macchina, salutando per l'ultima volta l'aria che mi ha tenuto caldo dentro la macchina per tutti questi chilometri. Adesso, mi sferza una piacevole ondata di aria fresca.

La radio è muta, preferisco il rumore del mondo di fuori, la macchina, le ruote, il cicalio e la musica del mio silenzio.

Do un'occhiata alla lancetta della benzina, che non si alza. E' terminata, ma finchè ne rimarrà un solo goccio, questa strada la percorro sino a quanto potrò.

E' ormai da una notte che corro per la strada, lungo percorsi quasi identici.

Il rettilineo, la carreggiata opposta, la galleria, la curva, il guardrail. E' un dejà-vu insistente, un racconto ripetuto e del quale ho assaporato i mille particolari.

Il tempo si è fermato, la luce del mattino si è stabilizzata in un azzurro tiepido, il sole non si alza.

La mano volteggia al di fuori del finestrino.

Una volta ancora, ripercorro il rettilineo ma adesso il suo asfalto è più chiaro. Non si incontrano altre automobili adesso, neanche nella corsia opposta: sono il padrone incontrastato della strada, e se non fosse per il canto di qualche uccello, direi che sono l'unica forma di vita. Rivedo la galleria, che mi si pone innanzi abbracciandomi ed invitandomi nel suo grembo. Al suo interno, le luci appaiono molto meno fredde di prima e si alternano seguendo la danza tratteggiata delle linee sull'asfalto. La mano si riscalda al calore stantio della galleria, la apro e muovo le dita come ad afferrare ciò che sta fuori di me.

Quando giungo alla fine, mi aspetta nuovamente la galleria. Vedo lo stesso guardrail di prima, ma ancora integro, e nessun uomo indaffarato a cercare la vittima dell'incidente.

Qualche metro più avanti, mi aspetta un bambino.

E' solo, nessuno che l'abbia portato lì. Non sembra preoccupato, anzi. Aspetta pazientemente qualcosa, o qualcuno, appoggiato sul guardrail mentre dondola le piccole gambe.

Alza il braccio e piega di lato il capo, annuendo. Io rallento ed accosto. Lo conosco. Quante volte lo ho incontrato nell'unica foto della sua infanzia tra le braccia di una donna dal grande cappello che le copre in parte il viso.

Sobbalzo sul sedile quando lui apre la portiera ed entra in macchina, e mi si siede accanto.

Eccoti, dunque.

Mi aspettava. Stringe tra le mani un cofanetto in legno di ebano, mi guarda e sorridendomi lo apre.

Si tratta di una di quelle macchine del tempo che da piccoli talvolta si costruisce, raccogliendo tutti i giochi dell'infanzia ed i primi disegni e le prime parole scritte su pagine imbarazzate di piccoli quaderni di scuola, che poi si apre una volta anziani, a riassaporare per un attimo ancora il passato e quello che i ricordi riescono a trasmettere.

Dovresti riconoscerla.

Non riesco, o non voglio farlo. Gli occhi blu del bimbo mi guardano severi. Si avvicina a me, mi porge la scatola.

Ti prego, aprila.

Perché dovrei, mi domando.

Abbiamo entrambi bisogno che tu la apra, allo stesso identico modo. Non ha senso la fuga, ormai dovrebbe esserti chiaro già tutto. Quello che deve essere fatto sempre prima di partire per un viaggio è il bagaglio. Questo è il nostro.

In che senso, mi chiedo cercando di fingere a me stesso. Sta sorgendo l'alba, e le mie idee si schiariscono rapidamente.

Così ritorna il sorriso di alberi fioriti ed il volo antico di cento farfalle e mille colori, colori proibiti. Gli occhi del bambino li riconosco adesso, blu come quella donna, blu come i miei. Grandi e con un taglio orientale, come quelli del padre, come i miei.

Il destino è ineluttabile, però non sempre è amaro. Pur rimanendo se stesso, dà talvolta la possibilità che lo si possa interpretare diversamente, offrendo altre chiavi di lettura, ed offrendo il modo di essere accettato nella maniera meno drammatica possibile.

Voltati indietro, per favore.

Lo ascolto, e vedo le luci di una automobile che si avvicina dalla galleria a grande velocità. Imposta male la curva, senza rallentare, schiantandosi di netto sul guardrail. Mi viene da urlare, ma la voce non esce, neppure quando l'automobile sparisce giù dal ponte regalando dopo qualche secondo un lontano bagliore cremisi. Il mattino si fa silenzioso, il suo profumo lotta con quello delle ruote che hanno sagomato sull'asfalto due lunghi serpenti neri.

Le lacrime si perdono sul viso, ma non mi sento più triste di quanto mi sentissi all'inizio di questo mio viaggio.

Il bambino avvicina al mio petto la sua macchina del tempo.

Questo è il nostro bagaglio.

Afferro lentamente le sue mani e quell'oggetto, lui mi sorride innocente e si sposta con la schiena verso la portiera della macchina, senza volere però uscire.

Guardo il cofanetto. Posso apprezzarne gli angoli smussi ed i tratti un po' invecchiati.

Quando decido di aprirlo, ne esce una intensissima luce dorata, omogenea, ed un profumo di erba bagnata dalla pioggia.

Vedo affacciarsi animali creduti estinti ma ben vivi nella mia fantasia fanciullesca, sfilano in una buffa parata che precede il corteo di altri ricordi. L'amicizia. L'amore. Il lavoro. Il passato ed il presente. Manca la mia famiglia, i miei genitori. Il mio ritorno al passato non può essere completato, mancano due tasselli fondamentali, persi nei meandri dei ricordi mai più rinnovati dopo i primi miei due anni di vita.

Papà e mamma ci stanno aspettando, andiamo.

Quello che ho avuto, è la possibilità della presa di coscienza di me stesso. Con i miei ricordi, i miei meriti, le mie colpe, le mie idee. Qualcuno sostiene che nell'ultimo attimo di vita si sfogli rapidamente il proprio passato. Quello che credo io, è che quest'attimo abbia più significato della vita stessa, poiché rimane l'unico momento in cui si prende atto di sé e della propria esistenza, nella massima sincerità, sfrondandosi delle sovrastrutture esterne e dei dogmi. Siamo quello che siamo stati. E non c'è tempo né ha senso cercare di allontanare questo attimo, che rimane l'unica cosa che ci appartiene completamente.

Respiro profondamente. Sento i campi di grano e gli uccelli e la luce della lontana Venere intonare un silenzioso canto di  requiem: è un onore.

Il finestrino è aperto, del vento caldo mi accarezza la tempia.

L'automobile corre dentro il giorno, diventando sempre più chiara e confondendosi con il chiarore dell'orizzonte.

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