La strada nella Notte

III

Il lungo dorso scuro di questo serpente chiamato strada si scioglie davanti a me più lentamente adesso.

Tengo le mani ferme sul volante, e gli occhi sull'orizzonte. Il cielo sembra ovattato, un dipinto impressionistico venuto fuori dal pennello di un artista incerto.

Le strisce si alternano sul fondo stradale, spettatrici noncuranti dei percorsi della mia mente.

La radio mi propone canzoni degli anni ottanta, intervallate da fruscii di sottofondo che si fanno più intensi. Premo con pressione costante sul pedale dell'acceleratore, dando di tanto in tanto un'occhiata alla lancetta che mi indica il carburante residuo. Me ne rimane circa un quarto di quello con cui sono partito; non pensavo che sarei riuscito a stare al volante per così tante ore ininterrottamente, senza fermarmi, senza sentire il bisogno di riposare. La lancetta è il mio unico indizio del tempo trascorso in macchina, anche se già si comincia ad intravedere la debole luce rosso cadmio di un mattino precoce.

Il finestrino è sempre aperto per metà, passaggio obbligato per l'aria fresca che esce dopo aver rubato il poco calore presente attorno a me. Questo non mi disturba, anzi contribuisce a tenermi sveglio.

Stranamente, dopo l'incontro con quell'uomo, mi sento più pesante. Mi sono caricato dei suoi pensieri, delle sue sofferenze, avvolto in uno stretto rapporto empatico. Quello che lui provava, lo provo adesso pure io.

Si è trattato di uno scambio impari, sbilanciato, dal quale, mentre lui ne è uscito più leggero, io dall'altra parte adesso sento sulle mie spalle un nuovo grave, fatto di passato e di sentimenti repressi che hanno preso forma nel libero sfogo di quell'uomo. Tuttavia, non me ne sento eccessivamente appesantito. Per una volta, anzi, sono felice di avere avuto un ruolo, seppure temporaneo e di poco significato, nella vita di un uomo che si nasconde a se stesso, dandogli dimora per un riposo agognato, una illusoria libertà dal suo presente. Nel suo sfogo vi era contemporaneamente la sua accettazione del proprio essere, una costante presa di coscienza dei propri limiti e dei propri errori, se tali questi possano essere considerati. E' riuscito a realizzare una scheletrizzazione dei propri pensieri che mi ritrovo ad invidiare, liberandoli da dogmi e da barocchismi, dei quali, invece, mi rendo conto di essere schiavo e caricato. Poco male, in me i suoi pensieri più remoti, che gli ottenebravano lo sguardo, troveranno facilmente posto tra le scatole ammucchiate disordinatamente nella cantina del mio io più nascosto, per essere abbandonate all'oblio ed essere nuovamente richiamate alla luce e rispolverate all'occorrenza, quando sarà per me necessaria un'emozione che mi faccia sentire vivo. Così come ci si dà un pizzicotto davanti ad una situazione irreale, allo stesso modo i ricordi dolorosi mi stringeranno il cuore per ricordargli che batte.

La macchina divora metri su metri, impostando ordinatamente le curve, rallentando raramente.

Mi tornano in mente le parole di quell'uomo, talvolta come consigli ed ammonimenti, altre come idee fini a se stesse, e fanno compagnia alla mia riflessione di stanotte. Era da un po' che non accadeva che il mio pensiero volasse alto. Negli ultimi tempi, mi è capitato raramente di riflettere su qualcosa che trascendesse dai problemi legati al lavoro ed a tutte quelle pratiche quotidiane che costituiscono solo volume nella mia giornata usuale. Queste ultime si dispongono come tanti tasselli, a ricoprire una parete senza più spazio, iniziando finanche a sovrapporsi in una moltitudine di strati, nascondendo completamente il colore originario ed il disegno della vita.

Mi domando adesso il perché di tutto questo. Abbiamo una sola vita, forse occasione unica se avranno ragione le correnti di pensiero che negano la metempsicosi, e lasciamo che questa ci venga vissuta dagli altri, i quali ci impongono ritmi e modi di essere. Tutto questo non ha senso. Toglie l'importanza al tuo essere. Al giorno d'oggi, sin da quando iniziamo a muovere i primi passi, cominciamo a subire il progetto altrui sulla nostra esistenza. Giocattoli che ci sommergono con i loro rispettivi manuali di istruzione semplificati, magari avuti su nostra stessa fanciullesca richiesta ma solo perché frutto di informazioni reiterate e svianti su come devono essere trascorsi i nostri momenti liberi. La scuola, che iniziamo sempre prima, per imparare presto a scrivere ed a leggere. Certo ci riusciamo, ma il prezzo è alto: disimpariamo a piangere di cuore, dopo che le madri ci avranno lasciato per più di una volta davanti alla scuola, per un'infanzia che ci gira improvvisamente le spalle, costringendoci a crescere. Dobbiamo affrontare la vita, da subito. Iniziamo così a riempire le giornate di studio, sport ed attività varie con un ritmo imposto dai nostri genitori, a loro dalla società, per riuscire ad integrarci quanto prima. E dopo, forziamo queste attività per conoscere il nostro limite: è anche giusto. Forse, o forse no. Spesso l'ignoranza, da piccoli come da grandi, è un bene prezioso da salvaguardare. Nessuno che possedesse saggezza è mai stato per questo felice. Nel caso specifico, se raggiungiamo e superiamo il nostro limite, non lo rendiamo più tale e ne cerchiamo inconsapevolmente uno più grande. Se non vi riusciamo, allora diventa tale, ma non deve andare per forza in questo modo. Sono tanti i fattori che concorrono per creare quel limite, e questi non dipendono necessariamente da noi: l'età, le occasioni, il caso, le persone che ci circondano. Allora quello perde ogni significato, ed i confini della semantica di questa parola dovranno essere necessariamente rivisti.

Spesso succede di riuscire, alla fine, ad eccellere in ogni cosa cui ci porgiamo con volontà e diventiamo esempi modello che superano i loro limiti. Certo, è encomiabile. Tuttavia, se allarghiamo lo sguardo e allunghiamo i nostri sensi poco oltre la nostra sfera esistenziale, ci rendiamo conto di quanti siano gli elementi mancanti, i tasselli che non puoi apporre alla parete perché non sapresti neanche come definirli, perché semplicemente non ci sono nella tua vita. Peggio ancora, riconosciamo che manca qualcosa, ma cosa, non sapremmo dirlo. Non abbiamo la bellezza del silenzio dell'animo necessario a riconoscere i mille e più colori del caleidoscopio di luce che il sole alto crea passando tra le foglie bagnate di un bosco svegliatosi da poco, né capiamo le ragioni del nostro silenzio attonito quando ci troviamo dinanzi una vallata innevata senza niente e nessuno intorno, di quella sensazioni di smarrimento che ci provoca la solitudine davanti allo spirito antico della Natura, nascosto nei fiumi tumultuosi e nei ghiacciai dagli echi assenti. Sono sensazioni figlie della nostra incapacità di sentire quantomeno familiare il canto di questi posti. Troppo trambusto oggi intorno a noi, vi è un'insopportabile continua corsa verso traguardi vecchi e nuovi. Esiste un modo diverso di vivere il tutto, ma temo che del ricordo ancestrale della vita non sia rimasto altro se non la paura della morte. 

Potremmo imparare molto se solo fossimo più umili e tentassimo di ascoltare il silenzio. E se anche questo tentativo di affacciarci ad una vita nuova dovesse fallire, non avremmo comunque perso tempo. Perché il tempo non si perde, ma al contrario lo si guadagna sempre ed in ogni caso.

Così non riflettiamo, e percorriamo la strada del progresso. Raggiungiamo le tappe designate nei tempi previsti, gioiamo di questo risultato, partiamo verso nuovi traguardi, e poi ricominciamo.

Ci ritroviamo già grandi avendo saltato la prima parte della vita, e non abbiamo alcun mezzo per tentare di recuperarla. Perdiamo il sorriso, pur avendo conquistato tutto quello che dovevamo avere ed essendo diventati quello che dovevamo essere.

Poi ci giriamo dall'altra parte, e succede che in uno dei nostri viaggi ludici atti a sfamare la nostra necessità di colmare invano un vuoto che sentiamo opprimente dentro di noi, oppure standocene semplicemente a casa a recuperare le energie per la giornata successiva trascorrendo il tempo davanti al televisore, allora ci accorgiamo che esistono altre persone che non vivono allo stesso modo. Passano intere giornate nell'acqua blu del mare a procacciarsi cibo, oppure a scavare nella sabbia alla ricerca di acqua potabile, dormono sotto il sombrero per quasi tre quarti della giornata e festeggiano appena ne hanno la possibilità, non lavorando neppure il sabato e la domenica. Mangiano roba che tu non oseresti, camminano nudi con i piedi consunti da troppe marce, od ancora hanno la pancia gonfia e braccia secche, senza peraltro rinunciare a giocare ignorando che la loro esistenza non avrà la tua stessa identica durata. Se avremo modo di incontrarli, e se loro ci guarderanno con le mani vuote e con occhi pieni di vita, allora forse la nostra vita avrebbe potuto essere vissuta diversamente. E ci renderemmo conto che quello che conta della vita non è certo la sua durata.

Può essere tutto diverso, forse.

L'ombra di una galleria mi si forma improvvisamente davanti. Somiglia in ogni suo particolare a quella che avevo incontrato prima, ed io accantono i miei pensieri per concentrarmi sulla guida. Sembra un circolo vizioso.

Stringo i pugni sul volante, l'aria soffia dal finestrino. Percorro il breve rettilineo ed affondo nel ventre della collina, con le luci chiare che si ora alternano fastidiosamente sui miei occhi, e con la netta sensazione di essere nuovamente al punto di partenza.

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