IV.
Ti amo.
Il sole scende sulla mia guancia
e tramonta.
io chiudo gli occhi
e l’assenza
aspetto di noi stessi:
quando insieme si dorme
si baciano i corpi,
e non si pensa,
al ritmo del respiro.
E il verme non sputa
se stesso, e sogna
la parola amore.
Per questo forse
sono appeso adesso:
quando le nostre menti son punti,
e non esplodono più in vulcani
e di farfalla voli
allora il sonno arriva,
e ci scopre abbracciati
nudi
a frecce di cupido.
Si intenerisce il sonno
come una madre,
e ci rimbocca di palpebre
i baci.
Ma se invece ci scopre
impiccati come pensieri svegli
allora non esiste notte,
E si sta sotto una pioggia
Di sospiri al chiaro del soffitto,
Umidi dentro una coperta,
Umidi dentro un odore di terra
bagnata e attorno!
Per questo sono appeso adesso
voglio che mi rimbocchi i pensieri
la notte.
D´improvviso una coccinella
sul volto, e le dita di tante persone.
Ma solo una foglia
dal mio viso
scende come lacrima.
L´uomo calvo
hai i capelli e il soffitto
è intrecciato di vitigni.
Il sole con le dita di un pescatore
palpa la vita dentro la rete,
e illumina a macchie la stanza
e il cuore
perchè tutto somigli
ad una coccinella.
Il cappio al collo,
che mi cresce dentro,
è solo la larva della coccinella.
La vecchietta sta per essere operata.
Il dottore vuole rimuoverle
le lettere dal comodino:
Subito in volo
come disegni di bambino
le pagine d’amore.
Il dottore disperato
prova a trattenerle il respiro
ma anche quello è volato.
Una foglia mi cade sul viso.
Apro gli occhi
e non amo più.
L'azzurro talvolta si spiega in piccole gocce
e piove.
Ma stanotte non è possibile,
il cielo non esiste e c'è lo stesso buio
fra me e la malinconia:
Non vedo più luce
ma solo il silenzio,
di quello che, spero, siano
i baci delle stelle
Ha potessi vedere
la sofferenza luminosa delle loro labbra,
lame ficcate contro il cuore crudele
del nulla,
una via lattea ormai svanita:
una costellazione spenta
che morendo non grida più fuliggine e
malinconie.
E neanche io sento più il dolore
del parto e del pensiero
e mi manca il grido dell'Impiccaggione dentro,
proprio ora che, facendo le valigie
verso la ragione dell'uomo,
sento meno la mia carne che fuma,
sento solo la mia brace, erba e cimitero
che grida
per il suo mancato pasto e fosso.
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Dispero
mentre il cielo abbandona del tutto Milano
al controllo della luce elettrica
e dei lampioni sul marciapiede.
Gli alberi ne parchi rimangono
come un corpo estraneo,
un tumore sull'asfalto pulito.
"sono appeso alla malattia di questa città,
e solo la febbre della diversità potrà allentarmi
il laccio al collo e far ricircolare il sangue e
la via lattea".
E' proprio la malattia, che ci vive addosso,
l'anima che ci cresce sulle ginocchia
e ci racconta favole e piacevoli orrori,
accarazzandoci con rughe e baci.
Ricordo quando con il mio grembiule di malato
correvo fra i corridori dell'ospedale e dell'infanzia.
Ricordo quando abbagliato dal bianco delle pareti
ho dato il mio primo bacio:
talmente era bella
che non posso ancora nei sogni non regalarle fiori
e germi.
La febbre mi ha guarito
e come prima medicina ho ingoiato la notte
e maledetto i sogni
con il sudore dell'insogna.
Nessuna donna mi ha baciato cosí intensamente,
come l'alba sudata al mattino,
fra le calde coperte dell'assenza,
come il ghiaccio della falce
fra le lacrime degli infermi.
Milano ha una vita di cemento e spazzatura
e tante cliniche private di dolore e fantasia,
e anche gli alberi di questo parco sono matti:
guardano le ventiquattrore in cappotto lungo
e appoggiando il mento sulle proprie foglie
borbottano un' espressione gialla d'autunno,
E´ l`alba
e via gíu i capelli, e la pazzia ed il freddo inizia
ed io solitamente mi risveglio,
al cadere delle foglie,
fra le coperte calde dell'assenza
Quando fa freddo, a Milano non si vede il cielo,
solo l´anima degli alberi spogli.
Sotto le luci dell'ospedale, le urla
della sala parto,
le corse delle infermieri
con su la lettiga i nostri sogni
agonizzanti e striscianti,
come vermi malati,
non piú esche per l'ingenua felicitá,
ma semi della mia malinconia!
Al primo piano una vecchietta
tende la mano al nipote:
su ogni ruga delle dita
un mucchio di petali di margherita,
su ogni macchia della pelle
un bimbo non nato.
Sul suo sorriso peró
ogni anziano che ride,
un mazzo di fiori
per l`amore rinato, con scarpe da tennis
ed un lieve odore di prato, vermi e concime.
Al secondo piano la malattia
visita un paziente
e con sguardo severo
ne annuncia la fioritura,
mentre un medico con occhiali da sole
vede solo il chiaro di luna
e prescrive nuvole e crisantemi.
Quando una persona ti bacia
ti ammala, ti dona una ruga in piú e
tanti petali di malinconia.
Quando la malattia s'ínnamora,
ti bacia, ti dona il quinto sorriso e
tanti petali di malinconia
Non riesci a contarli tutti,
ma son tanti quante le vene che ti si ingrossano
e rimani come uno strozzato ruscello fra le sponde
del "muoio o non muoio",
perché hai le vene ingrossate di petali
di margherita.
Quando una persona ti bacia
le labbra e le interiora si sussurranno a vicenda:
"muoio o non muoio".
Adesso canto la filastrocca di una margherita e
mi sfoglio
dei miei petali mentre guardo dall'ultimo piano
dell'ospedale il paesaggio e gli occhi riflessi
della gente. Le alpi sullo sfondo sono
la dentiera per il sorriso mancato di un gigante
e il cielo è la gola che deglutisce gli sguardi.
Chissà se esiste un dottore su questo piano
che ha per pareti nuvole e per luce
la mia fantasia?
Avrá i denti grigi come la malattia o
solo un profumo di alloro bollito?
O forse somiglierá a questa corda morta
che invidia il mio respiro.
Appeso a questa corda mi sento come
all´ultimo piano di un ospedale.
Non c´é finestra che non sia un suicidio e
non c´é una porta aperta che non sia un sorriso,
ma le scale sono come la gola che deglutisce gli sguardi.
L`unica salvezza é la malinconia,
e lo sguardo di una rugosa fanciulla,
che posa il ricordo della verginitá
,come una lettera di un amore morto,
nel cassetto del comodino
accanto alle medicine.