luogo: Milano, parco nord
I.
Impiccato, sostenevo le ragioni del mio discorso:
"La malinconia è il mio scultore,
lo scalpello che mi grida statue e pensieri,
il mio big ben ed il mio primo vagito
in versi"
in quel momento appesa con me
Lei batteva, più forte del mio cuore,
il sangue fin dentro le radici del mio sguardo,
linfa dell'albero che mi strozzava il collo,
fin dentro il mio respiro e l'aria bagnata
della pioggia battente attorno.
Tutto pulsava.
Quando ero piccolo spegnevo le ansie del mattino
nella grande tazza e calda di latte
e la notte rimaneva, fra le pagine di un libro,
chiusa prima del mio sguardo.
Adesso serro le palpebre al vento
che domani arriccerá i capelli
dei bambini in corsa,
e non esiste alba.
Intorno la notte fa paura,
ma forse di più questo mattino
che mescolerà alla rugiada
i miei pensieri
giù fra le rughe della terra.
Non ho più un capezzolo vicino alle labbra,
solo il sapore della fame e della falce,
e le foglie mi volano sul viso,
uniche pagine e versi d'amore
al mio vuoto dentro, al mio paese d'anime
dove ogni abitante è uno stelo mozzato,
l'ombra ed il buio di stelle sloggiate.
L'unica salvezza è la mia malinconia:
la via lattea che spazza il nero
dell'assenza, corolla di ogni fiore mancato,
la schiuma di un cappuccino
sulle labbra secche del mio indelicato mattino.