" La cosa più simile al paradiso che ho incontrato in questo mondo è il cinema di Ozu"
W. Wenders
" Che cosa intendo per personaggio? Ebbene, in una sola parola, umanità. Se non arrivate a trasmettere questa umanità, il vostro lavoro non vale niente. E' lo scopo di tutta l'arte. Al cinema l'emozione senza umanità è un difetto. Una persona le cui espressioni facciali sono perfette non arriva necesariamente a esprimere umanità. Infatti, l'espressione delle emozioni è spesso ostacolo all'espressione di umanità. Sapere come controllare l'emozione e sapere come esprimere l'umanità attraverso questo controllo - è il lavoro del regista"
Yasujirõ Ozu
Le parole di Ozu e il film "Viaggio a tokyo" , che voglio proporre alla vostra attenzione, si richiamano a meraviglia e rappresentano il successo artistico di un uomo. L'umanità, che traspare dallo sguardo di ogni singolo protagonista, è così tanta da legarci ad ogni singolo volto, come se il padre, la madre o la figlia nel film fossero rispettivamente il nostro padre o la nostra madre o la nostra figlia. L' indimenticabile volto del padre anziano è un simbolo di saggezza per una vita vissuta, di malinconia per gli errori di una vita e di profondo affetto per i cari e i ricordi. Straziante ed allo stesso tempo ammaliante è il sorriso dell'attrice Setsuko Hara, che solleva dai dolori della vita e nello stesso tempo nè da una spiegazione anche se amara.
La trama è semplice come semplice è la vita della stragrande maggioranza dell'umanità, ma mai banale: due genitori da un lontano paese si recano a tokyo per ritrovare i figli ormai adulti e con una loro famiglia, e rimangono delusi dalle disattenzioni dei figli e dalla frenesia della vita moderna (la tokyo degli anni 50).
Tutti i sentimenti, anche quelli non manifesti nei dialoghi, sono ben espressi e visibili senza lasciare nessuna domanda o perplessità finale, se non quella esistenzialista. E ci si sente talmente vicini alla delusione dei genitori che si vorrebbe donare noi un pezzo di cuore. Ozu riesce nel film a tirare il meglio di noi stessi, come facevano i romanzi strappalacrime di fine ottocento, ma senza usare trucchi narattivi o giri inconsulti da saltimbanco nella trama.
La scenografia infine, con il cambio repentino fra i luoghi chiusi di piccole abitazioni e le ambientazioni della vita di una metropoli, bene accompagna lo spaesamento dei genitori e le loro sensazioni più intime. Tirando le somme, Ozu è riuscito nel suo intento di rendere e di definire l'umanità in una pellicola.