Katzelmacher di R.W. Fassbinder

copertina

Katzelmacher è un termine spregiativo con cui in Austria e Germania venivano chiamati gli emigranti, inizialmente veneti e friulani, poi anche turchi e greci. Letteralmente "fabbricante di cazze", gli utensili in legno e in rame che quegli stranieri esportavano, per venderli, all'estero; ma ha anche un’altra traduzione, cioè “fabbricante di gattini” per alludere alla intensa prolificità degli stessi stranieri immigrati.

Fassbinder mette a nudo, senza alcun filtro e con estrema durezza, la società del tempo (il film è girato alla fine degli anni 60) fornendo un ritratto di una gruppo di giovani proletari e sotto proletari di una ricca provincia dell’ex Germania Ovest, indolenti, opportunisti, privi di ideali, che non riescono ad integrarsi nella comunità in cui vivono e che sfociano le loro repressioni in xenofobia e violenza gratuita.

Fassbinder, in questo suo secondo lungometraggio, tratto da un testo teatrale già messo in scena dalla sua compagnia, propone quasi sempre delle inquadrature fisse, di lunga durata, su sfondi di pareti bianche o grigio chiaro completamente svuotate di tutto, quasi a privare gli ambienti di una qualunque identità e spogliandoli di ogni connotazione di sorta, ridotti a semplici cornici per far stazionare e dialogare i personaggi. L’unico movimento di macchina è dato da un carrello a precedere nelle scene che si ripetono con le passeggiate in coppia delle protagoniste lungo un viale del quartiere in cui si svolge il film.

Il minimalismo scenico offerto da Fassbinder, con una produzione appositamente economica, conferisce una maggiore intensità al messaggio trasmesso dal regista che, accompagnato dalle musiche di Schubert, a tratti toglie il fiato. Un testo più che mai attuale che a circa 40 anni di distanza fa riflettere sulla perdita progressiva di veri valori e la contrapposta ricerca di ideali effimeri e inconsistenti.

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