Una grande opera riesce a mettere in scena archetipi di umanita' nelle poche pagine di un libro o nei pochi fotogrammi di un film. Nel caso di Martin Eden, film del regista Pietro Marcello, ripreso dall'omonimo romanzo autobiografico di Jack London, si perpetua lo scontro fra privilegiati e reietti, fra classe nobile e popolo, o ancora fra capitalisti e lavorativi, cosi come e' inteso nell 19mo secolo, e dipinto come un conflitto indissolubile che, quando appare risolto, porta invece i segni di una ferita incancrenita.
Pietro Marcello sposta l'ambientazione del romanzo da Londra ad una Napoli che, grazie da un collage di immagini di epoche diverse, in bianco e nero e a colori, sfugge ad una collocazione temporale, e sembra raffigurare l'eterno ritorno delle stagioni della vita, saltando in continuazioni tra gioventu', eta' adulta e vecchiaia. Sono salti temporali e geografici, che permettono al regista di epicizzare e categorizzare meglio caratteri e classi umane.
In questo flusso di immagini, quasi da social network vi sono quindi dei punti fermi. Uno e' il personaggio di Martin Eden, impersonato meravigliosamente da uno straordinario Luca Marinelli, che con questa e altre interpretazioni a mio parere non fa rimpiangere I grandi attori del cinema italiano. Martin e' un un popolano mal istruito, di animo gentile e di fine intelletto, che salvando dai bassifondi del porto di Napoli un rampollo dell'aristocrazia partenopea, si trova aperti I portoni altolocati della famiglia Orsini. Viene affascinato dal frutto proibito della giovane Elena Orsini, che seppure in un francese fuoriluogo, rappresenta le grazie mai ricevute in una vita di stenti e lavori massacranti, con paghe da schiavitu', e una totalmente sconosciuta raffinatezza di gusti. Eden per la famiglia Orsini e' la bestia selvaggia, da mostare alle feste come addomesticata, e per un po' il ruolo compiace al protagonista fino al confronto a allo scherno con gli altri coetanei dell'alta societa', che lo amareggia profondamente, e lo forza a ritornare indietro alle proprie umili radici.
Nel viaggio di Martin fra i privileggiati la luce della letteratura si accende dentro di lui, come un faro per capire le diversita' culturali e rafforzare la voglia di riscatto, non solo sua ma del suo popolo. Ed e' proprio questa nuova passione ad isolarlo e ad allontanarlo da tutti. Per primo dalla gente umile, che trova nelle soluzioni semplicistiche, il riciclo della propria condizione bestiale, poi dai sindacati, quasi I Kapo' deella classe operaia, poi dalla stessa classe ricca e dal suo privilegio immotivato se non dalla ricchezza che si perpetua. Infine contro se stesso e la letteratura che lo eleva, dopo tanti sacrifici, ad una condizione di privilegio che gli appare vacua e fine a se.
E' un film coraggioso, mai banale, forse un po' pretenzioso, ma assolutamente da premiare perche' attinge alla vera e credibile recitazione, all'arte del fotomontaggio e ad una sceneggiatura moderna e affine alla letteratura classica. Non mancano poi personaggi memorabili, come la mamma di famiglia che lo ospita in una modesta casa di campagna: lei vive con poco e con un calore dentro che Martin riesce sempre a descrivere nelle sue opere ma mai forse a fare completamente suo.