Se ad un certo punto della vostra vita, dopo con tanti sacrifici personali e non , che vi hanno portato all'apice della vostra carriera lavorativa, vi fosse vietato di esercitare la vostra professione, come reagireste? Rabbia, voglia di rompere cose, o di imprecare o di ubriacarvi per dimenticare? Niente di tutto questo sembra balenato nella mente di Jafar Panahi, regista di successo, stimato in tutto il mondo per film splendidi come "Il palloncino bianco" o "oro rosso", condannato il 20 dicembre 2010 a 6 anni di reclusione e al divieto di dirigere, scrivere e produrre film, viaggiare e rilasciare interviste sia all'estero che in iran per 20 anni. Almeno nel documentario, girato clandestinamente dallo stesso, l'unico sentimento che traspare chiaro e' la sua serenita' che si esplica in un sorriso amabile, mai amaro. Il nostro autore decide di mettersi alla guida di un taxi e filmare le scene di vita che gli accadono dentro senza nessuna presa di posizione, cosi come comandatogli dal tribunale, ma solo applicando uno sguardo amabile ed innamorato dell'umanita' che gli gira attorno.
Una donna disperata entra con il marito ferito in un incidente stradale. Presto corriamo in ospedale gli grida il ferito, per poi chiedergli un foglio per il testamento. Ha paura che se dovesse morire i suoi fratelli prenderebbero tutto alla moglie e non le lascerebbero niente per vivere, neanche la casa. Alla fine Panahi registra il testamento con il suo cellulare in un filmato e una volta in ospedale la donna uscendo di corsa dal prontosoccorso gli chiede il numero. Ha bisogno di quel video a prescindere dalla sorte finale del marito. Panahi risponde impassibile che appena avra tempo lo scarichera' su un supporto e glielo dara'. Nessun altro commento all'accaduto, solo l'ansia della donna che ti rimane nelle orecchie.
L'estetica del regista e' affidata ad una bambina, sua nipote, che con candore fanciullesco commenta il compito datogli dei suoi insegnanti di fare un piccolo cortometraggio. Le restrizioni e le regole sono cosi senza senso che sfuggono pure alla bambina, perche' le tolgono il gusto stesso del gioco di improvvisarsi regista. Una regola su tutti mi e' rimasta impressa: non bisogna troppo attenersi alla realta' se troppo disdicevole.
Durante il tragitto l'improvvisato taxista incontra 2 amici che in maniera diversa sembrano mettersi sulle spalle le disgrazie della societa' iraniana. Il primo, un adulto benestante, non si sente di denunciare i suoi rapinatori, perche' li ha risconosciuti e si e' reso conto che hanno avviato un attivita', se li denunciasse li riporterebbe sul lastrico , il secondo e' una donna dal sorriso aperto e allegro, un avvocatessa, che sta difendendo i diritti di una donna arrestata in quanto si trovava nelle vicinanze dello stadio, luogo proibito al sesso femminile. Durante il dialogo con lei , Panahi racconta che ogni tanto sente la voce del tuo torturatore in carcere. E' l'unico momento in cui si percepisce il dramma che ha vissuto, ma subito le risate e l'affetto fra i due lievitano la gravita' della loro condizione al di sopra delle loro stesse debolezze.
Il film ha meritatamente vinto l'orso d'oro di Berlino nel 2015.