Probabilmente il dolore fisico è meglio della morte spirituale: in assenza di dolore e abuso Erika sente di non esistere: solo ora sente di avere finalmente stabilito un contatto col mondo
Jelinek ha una scrittura che sale in alto tramite volute impervie e decisamente pericolose fino in cima ad una metà, che ci disgusta alla vista. Eppure ci si trova lì in alto, piacevolmente sorpresi da un turbine di meravigliose metafore, inaspettate e intense. E lì ci si accorge che c'è sempre una secondo livello di profondità nel disgusto che deriva dalla richiesta sadomaso della protagonista Erika: un nascosto e straziante bisogno (sia di Erika che di noi) di essere amati.