I demoni di Dostoevskij in prima visione (ben 40 anni fa!)

I demoni di Dostoevskij in prima visione (ben 40 anni fa!)


Seguire lo sceneggiato, di cui il titolo di questo articolo, andato in onda alla Rai quasi 40 anni fa, mi ha fatto molto riflettere sull' opportunità , che talvolta ha l'uomo, di rileggere la sua contemporaneità, le sue azioni e le conseguenze di queste semplicemente su di un comune libro. Un cittadino russo, ma anche una qualsiasi persona coinvolta nelle grandi ideologie del passato, con le sue contraddizioni, i suoi entusiasmi ed i suoi fallimenti, non può che alla fine sorridere amaramente ai ritratti impietosi dei rivoluzionari, e non può fare a meno di chiedersi come hanno potuto tanti russi, durante la rivoluzione del 18, o i tanti comunisti, che nel secolo scorso non hanno dormito notti caldeggiando la vittoria del proletariato, non accorgersi che la maggior parte delle cellure rivoluzionari, dei futuri "soviet", non potevano se non "incubare" demoni! Le rivoluzioni, gli scontri sociali, e talvolta le ideologie, si prestavano perfettamente a pretesti e facili strumenti di sottomissione dell' altro ai propri vizii, anzi erano purtroppo la sublimazione stesso del "basso ventre" della società.

 

Nello sfondo di un paese, forse immaginario, una cellura rivoluzionaria organizza il terrore. Il dispiegarsi di questa forza e dei suoi elementi avviene con ritimi da teatro nello sceneggiato, dove ogni personaggio sembra mosso dai fili dei propri bisogni: certe volte il vile denaro, altre volte l'amore per un figlio o per un uomo, ma piìu spesso sentimenti oscuri come la noia, il risentimento, l´invidia e l´orgoglio di essere superiori a dio. A volte si ha l'impressione che i personaggi siano maschere, manovrate da passioni, e per tanto appaiono come delle farse e delle caricature della realtà. In questo sta forse la critica di un Dostoevskij che nella sua giovinezza aveva frequentato circoli segreti e che nell´eta matura invece li ripudia, trovandoli meschini e addossando a  loro la responsabilitá della deriva morale dei giovani russi.

Dostoievskij sembra diventare nel "telefilm", come nel romanzo, quasi reazionario, ma poi le figure piú comiche delle autoritá civili, incapaci di valutare il pericolo di una massa popolare senza freni, in quanto povera e ridotta agli estremi, e delle nobil donne attente agli ideali umanistici solo quando un qualche bel giovanotto vi si trova coinvolto, sembrano testimoniare il contrario. Ne viene fuori anzi una societá gretta in ogni suo scalino ed é difficile leggere una presa di posizione da parte dell´autore che sembra solo interessato a mettere in ridicolo le debolezze di ogni classe o figura sociale.

Forse per questo odore di farsa, le verosomiglianze con la realtá risultano deboli ed una profezia per il futuro della russia comunista e per il terrore instaurato da futuri dittatori sembra non essere una volontá dell´autore. Tuttavia , come i giullari alle corti, la parodia professa il vero sotto mentite spoglie, e a prova di ciò la storia dei Demoni" é tratta da un fatto realmente accaduto, che riassume la trama principale del romanzo: nella seconda meta dell 'ottocento un certo Serghiei Neciajev organizza un omicidio, con la sua cellura, per eliminare un suo antagonista e cementificare con il senso di colpa i colleghi coinvolti. E´facile collegare questi episodi al terrore durante il regime di stalin, e leggervi il profitto personale, che coincide con gli interessi della ideologia.

Il protagonista principale, Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin, che non é il capo della cellura, ma bensí un personaggio che ne viene coinvolto per indolenza, riflette una categoria che Dostoevskij disprezza: quella del giovane bello, ricco ed intelligente che da un lato per noia compie le scelleratezze peggiori e che dall´altro piange se stesso per le mancate colpe delle sue azioni, che nessuno gli rimprovera, perche a lui tutto é permesso. Egli si ritrova controvoglia sbandierato da tutti, dai terroristi come dall´alta societá, come un simbolo di bellezza, che sembra un consenso di Dio, ma che alla fine é falso e vuoto come tutti i personaggi del telefim.

Onore a Sandro Bolchi, il regista della serie, che riesce con pochi episodi e con il bianco e nero della televisione popolare, a farci cogliere i sorrisi e il fastidio di Dostoevskij verso la societá che lo circondava e verso il futuro scuro che questa presagiva.

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