Parlare di un problema come l'usura e finire per darne una spiegazione esistenziale sembra lo scopo di Sorrentino: nessuna causa sociale o economica è la spiegazione vera dell'usura, ma la cattiveria umana o meglio quella parte becera dell'uomo; sempre se è possibile fare una netta distinzione a scompartimenti della natura umana.
La trama del film è la storia e la descrizione emotiva e fisica del protagonista: un becero uomo dall'aspetto ripugnante e dalla vita sciatta e vile. Eppure riesce a tenere in pugno un intera comunità e a fare accettare i suoi ricatti più bassi grazie ai soldi che presta. Con questo mezzo si insinua nella vita di una bella ragazza, che tuttavia solo nell'aspetto sembra più dignitosa e meritevole di lui. Alla fine dopo tante vicisittudine di miseria e meschinità, il protagonista fa quasi pietà e induce un amara riflessione: in fondo nel suo squallore fisico e spirituale è facile identificare un ruolo, quello del cattivo, mentre in tante altre persone la meschinità è nascosta sotto mentite spoglie di bellezza e calore.
Eccezionale la performance dell'attore principale (Giacomo Rizzo) e il lavoro fatto in fase di montaggio. Uno stile fra surreale e realismo connota tutte le principali scene e ne rafforza il significato o problema esistenziale al fondo. Le telecamere sono spesso in movimento e mai ferme quasi non per dare tregua, e le unice immagini ferme sono su una partita di avvenenti giocatrici di pallavolo, tanto desiderate dal protagoniste. Tanti chiaroscuri forti e ambienti chiusi clautofobici o eccessivamente moderni e squadrati con lo scopo di descrivere l'indescrivibile viltà umana.