Marina Cvetaeva
[...] Amanti, a voi, appagati l'uno dell'altro,
io chiedo di noi. Vi afferrate. Ne avete la prova?
Vedete, accade che le mie mani s'avvedano l'una
dell'altra o che in esse il mio volto adusato
trovi riparo. Certo: è un poco di sensazione.
Ma chi per questo oserebbe affermare di essere?
Ma voi che nell'estasi dell'altro
crescete, finch'egli sopraffatto vi
supplica: non più -; voi che nelle carezze
diventate più ricchi come anni di vendemmia;
voi che talvolta soccombete soltanto perchè l'altro
del tutto prevale: io vi chiedo di noi. Lo so,
vi toccate beati così perchè la carezza trattiene,
perchè non svaniscono gli spazi che voi teneramente
premete; perchè lì avvertite il puro durare.
E' quasi eternità quel che vi promette l'amplesso.
E dunque quando avete superato lo spavento
dei primi sguardi e l'attesa alla finestra, e la prima
passeggiata insieme una volta attraverso il giardino:
amanti, lo siete ancora? Quando vi levate l'uno verso l'altro
e vi attaccate alla bocca-: bevanda a bevanda:
oh come stranamente chi beve sfugge al suo atto. [...]
(dalla seconda delle Elegie Duinesi)